AUGUSTA – Bocche cucite e silenzio assoluto fuori dalle mura del carcere di Augusta (Siracusa), dove nei giorni scorsi sono morti due detenuti che avevano dato vita a uno sciopero della fame. Sono poche le macchine parcheggiate nella piazzetta davanti l’accesso della casa circondariale, così come poche sono le persone presenti. I parenti che vanno a trovare i reclusi e che attendono di entrare non sanno nulla del decesso dei due uomini. Almeno questo quanto è emerso dopo esserci recati sul posto per avere qualche informazione in più sul caso.
Liborio Davide Zarba e Victor Perestichako: sono loro i due detenuti deceduti a seguito di un ricovero in ospedale per le condizioni fisiche a cui si erano ridotti a causa di uno sciopero della fame che portavano avanti da rispettivamente 41 e 60 giorni.
Liborio, originario di Gela, e Victor, cittadino russo che scontava l’ergastolo per omicidio. Quest’ultimo sembrerebbe protestasse per essere estradato in Russia, dove avrebbe potuto scontare la pena. Non trapelano altre informazioni invece sul detenuto di Gela.
Sul caso indagano gli inquirenti per avere un quadro più chiaro rispetto a quanto accaduto. La Procura di Siracusa ha aperto un’inchiesta sulla morte dei due detenuti, deceduti uno ad aprile e l’altro il 9 maggio. Il fascicolo aperto è a carico di ignoti, si ipotizza il reato di omicidio colposo.
La notizia dei due decessi è stata diffusa da un sindacato di polizia penitenziaria.
“Mentre molta doverosa attenzione è stata riservata allo sciopero della fame nel caso di una persona detenuta al 41-bis, con interrogativi che hanno anche coinvolto il mondo della cultura e l’opinione pubblica, oltre che le Istituzioni – ha affermato il Garante Palma – nella casa di reclusione di Augusta il silenzio ha circondato il decesso di due persone detenute avvenuto a distanza di pochi giorni, ambedue in sciopero della fame rispettivamente una da 60 giorni e l’altra da 41 giorni“.
La realtà carceraria “costringe” gli individui all’interno di strutture realizzate per “contenerli“. Il loro contatto con l’esterno è gestito in brevi lassi di tempo che gli dovrebbero permettere di non perdere la percezione della realtà. Ma la separazione tra il dentro e il fuori viene evidenziata dai numerosi gesti estremi che i detenuti commettono giornalmente.
“Leo amore mio, mi dispiace, sei la cosa più bella che mi poteva accadere, per la prima volta in vita mia penso e so cosa vuol dire amare qualcuno, ho paura di tutto, di perderti e non lo sopporterei. Perdonami amore mio, Leo si forte, ti amo”, queste sono le parole di una madre, Donatella, che piuttosto che vivere una realtà infernale ha deciso di togliersi la vita e il diritto di vedere suo figlio crescere, un bambino che tanto amava.
I detenuti vengono spogliati dei loro diritti in quanto “peccatori” e oltre la libertà, gli viene tolta la dignità, perché anche le Istituzioni dimenticano che il fine ultimo della pena non è la punizione ma la rieducazione.
Victor Perestichako si batteva per tornare nel suo paese, perché probabilmente lì avrebbe potuto incontrare – per brevi lassi di tempo – le persone a lui care, ma il grido di aiuto di Victor non è stato ascoltato e lui ha preferito lasciarsi morire di fame.
Articolo redatto da Floriana Garofalo e Rossana Nicolosi
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