ROSOLINI – Cinque spari e un’eco che dura da nove anni. Chiedono risposte le figlie di Salvatore Cottonaro, ucciso a Rosolini nel 2006, ma ancora la giustizia sembra solo accumulare ritardi su ritardi.
Era il 25 gennaio 2006 quando Salvatore fu ucciso da cinque colpi di pistola esplosi, in pieno centro di Rosolini, dal cognato Carmelo Basile. Da allora il tempo per Elena e Giulia Cottonaro sembra essersi fermato; da allora sono entrate nella spirale della giustizia italiana che, troppo spesso, forse ignorando il dolore dei familiari delle vittime o, forse, troppo attenta a cavilli legislativi, trasforma i processi in calvari estenuanti. Quello delle sorelle Cottonaro è uno di quei casi in cui la giustizia dei tribunali si perde tra sentenze e rinvii infiniti.
In un primo momento Basile venne rinviato a giudizio davanti al Giudice Monocratico di Avola perché la Procura della Repubblica di Siracusa lo accusò di eccesso colposo di legittima difesa ed il Tribunale di Avola lo assolse; anni dopo, nel 2013, il Tribunale di Catania però annullò la sentenza, riqualificando l’accusa in omicidio volontario.
Tornato il processo a Siracusa, l’imputato ha fatto ricorso al rito abbreviato, quindi passando al G.U.P. e non alla Corte d’Assise.
Davanti al G.U.P., la prima udienza è stata celebrata il 2 luglio 2014, rinviata al 3 dicembre 2014; successivamente è stata rinviata nuovamente al 25 marzo 2015 e poi ancora al 25 settembre 2015 e infine, si spera, preso atto dell’imminente trasferimento ad altra sede, il Giudice ha rinviato al 27 novembre 2015. Mesi di rinvii che si trasformano in anni.
Le sorelle Cottonaro sperano e confidano che per la prossima udienza si possa finalmente discutere e concludere questo processo interminabile. Hanno presentato una formale istanza al Presidente del Tribunale di Siracusa affinché intervenga a far cessare questi incomprensibili rinvii. L’Avv. Giuseppe Lipera, difensore delle sorelle Cottonaro, costituite parti civili, non nasconde la sua amarezza: “In quarant’anni ho spesso assistito ad una Giustizia lumaca, ma questa storia ha davvero dell’incredibile. C’è il dictum della sentenza della Corte d’Appello di Catania che va assolutamente ottemperato, e le mie assistite hanno il sacrosanto diritto, dopo dieci anni, di veder processato l’assassino del loro padre”.