SIRACUSA – Trasferimento fraudolento di valori, minacce, intimidazioni, estorsioni, spaccio e detenzione di sostanze stupefacenti, furti. Ecco alcuni dei crimini scoperti dalla DIA (Direzione Distrettuale Antimafia) nella maxi operazione “Araba Fenice”, che ha portato a ben 19 arresti.
Agli arresti diversi esponenti dell’associazione mafiosa Giuliano, clan siracusano capeggiato dal boss Salvatore Giuliano. Questo è risultato affiliato al clan catanese “Cappello”, nonché in “rapporti di buon vicinato” con il clan siracusano “Trigila” (capeggiato da Antonino Trigilia).
I criminali convogliavano le loro forze in diversi settori. Il mercato ortofrutticolo, per esempio, era una delle principali fonti della loro attività economica. A tal proposito hanno dato vita all’azienda “La Fenice s.r.l.”, la quale costringeva i produttori locali a versare il loro raccolto nei capannoni della società suddetta, al fine di ridistribuirla ai commercianti. Gli indagati percepivano, così, una “provvigione di mediazione” nel mercato dei prodotti locali di Pachino, Noto, Rosolini.
“La Fenice s.r.l” era ripartita al 50% tra Gabriele Giuliano, figlio del boss, e Simone Vizzini, figlio di Giuseppe “u marcuottu”, strettissimo collaboratore del boss. Le quote e il patrimonio dell’azienda sono stati sequestrati in seguito al provvedimento del giudice per le indagini preliminari del tribunale di Catania.
Lo sfruttamento del mercato agricolo da parte di Cosa Nostra è stato reso possibile anche grazie ai bracci armati del capomafia Giuliano, ovvero dai fratelli Giuseppe, Giovanni e Claudio Aprile, i quali erano i protagonisti delle intimidazioni nei confronti degli operatori del settore.
Anche l’ambito dei parcheggi a pagamento, in particolare delle zone balneari, era sotto l’attenzione del clan Giuliano. I tre fratelli si occupavano di collocare uomini fidati nelle zone di sosta, oppure di imporre il pagamento di un corrispettivo ai gestori.
Gli Aprile si occupavano, inoltre, di estorcere il “pizzo” a un lido balneare stagionale, nonché di rubare macchinari agricoli, detenere e spacciare sostanze stupefacenti.
A proposito del furto di macchinari agricoli, la DIA ha scoperto essere coinvolti anche Rosario Agosta, Vincenzo Gugliotta, Giuseppe Di Salvo, Antonino Cannarella e Sergio Arangio, responsabili di aver rubato trattori e mezzi per la lavorazione della terra, ai danni di aziende agricole site in Noto, Rosolini e Palazzolo Acreide.
Salvatore Cannavò, Massimo Caccamo e Antonio Arangio facevano arrivare a Pachino ingenti quantitativi di cocaina. Cannarella, Arangio, Di Salvo, assieme ai tre fratelli Aprile, si occupavano di detenere le sostanze stupefacenti al fine di immetterli sul mercato.
Tra le gravi notizie apprese nel corso delle indagini del distretto antimafia, poi, c’è il coinvolgimento diretto della Polizia di Stato nelle operazioni criminali di Salvatore Giuliano. Nunzio Agatino Lorenzo Scalisi, assistente capo del commissariato di Pachino, ha estorto denaro con il boss.
Scalisi, infatti, avendo affittato un’abitazione di sua proprietà, si sarebbe presentato alla porta degli inquilini con il capomafia, facendo loro temere per la propria incolumità. Le vittime dell’estorsione, in seguito alle intimidazioni, avrebbero rinunciato a pretendere almeno tre canoni di locazione che il capo di polizia avrebbe loro dovuto corrispondere.
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