Dal 1918 al 1945 la mappa umana è stata stravolta da un cambiamento epocale, vittima della follia incurabile della guerra. L’equilibrio politico, economico e sociale subisce ferite mortali da cui riprendersi richiederà anni di fughe disperate sotto “Un cielo sbagliato“.
Silvia Truzzi, giornalista de Il fatto quotidiano dal 2009, nasce a Mantova ma vive a Milano. Della sua città natale scrive la stagione che l’ha resa vulnerabile a causa dei disordini poi confluiti in un romanzo storico.
Mantova, 11 novembre 1918.
Nella povertà di un letto che riporta alla mente il santo giaciglio di duemila anni fa, Margherita Bassi nata Casadei, soffre il dolore di ogni donna prima di diventare madre. Coperta dalla miseria di lenzuola lise, dà alla luce la piccola Dora prima di chiudere gli occhi per sempre.
Palazzo Cavriani, 11 novembre 1918.
Distesa in un letto profuso di seta e merletti, dopo tre figli maschi, la marchesa dà alla luce una bimba a cui sarà dato il nome Irene.
Le due piccole crescono separate da “un cielo sbagliato” ravvedutosi della colpa dopo aver intinto di fango la penna che per lunghi anni scriverà pozzanghere nella vita di Dora.
L’angelo biondo dagli occhi azzurri cresce di elemosine sul sagrato della chiesa di Sant’Andrea, costretta dalla nonna a suscitare compassione negli sguardi con l’innocenza dei suoi pochi anni. L’incontro tra le due piccole donne protetto dalla tenerezza degli angeli, segna il primo miracolo di un destino ansioso di ricevere la santa benedizione.
Un raggio di sole benevolo sulla chioma bionda di Dora trasforma in oro la polvere sottratta al destino. Assunta come cameriera a Palazzo Valentini, dimora borghese della famiglia Benedini, a poco a poco ne diventa ospite fisso, figlia acquisita grazie alla superiore bontà del capofamiglia Nino Benedini. Ben accolta dalle ragazze Pia e Adele, il futuro di Dora scrive una pagina cui mai avrebbe potuto aspirare.
Silvia Truzzi racconta le piccole battaglie di una famiglia borghese riflessa nello stesso specchio della divisa militare. Approfondite ricerche storiche interessano lo studio della Mantova sottomessa alle leggi fasciste. Le folle confuse se applaudire o meno alle sfilate dei rappresentanti del governo dentro automobili lustrate, la miseria finisce per cadere nell’inganno confezionato dal regime.
Silvia Truzzi ha ricostruito le scene a servizio della copertura degli ebrei tenuti segreti da uomini che, da quel momento, hanno meno vita addosso. Tutte le sequenze del dramma pre e post bellico si allargano a macchia d’olio nel palazzo dei Benedini dove restare non è più possibile, forte è il pericolo a cui sono esposte le città (Mantova compresa) prese di mira dall’ora delle decisioni irrevocabili” (dal discorso di Benito Mussolini del 10 giugno 1940, con il quale l’Italia entrava in guerra).
Gli anni della II guerra mondiale fanno da sfondo al sipario concentrato sul destino alla nascita di una femmina. Se in età da marito disporrà di una dote, potrà sperare nella fede nuziale al dito, altrimenti il futuro da zitella o dama di compagnia l’aspetta sulla poltrona da salotto riservata alle conversazioni dell’alta società.
Dora è protagonista incerta sul primo gradino pronto a franare al suolo insieme a tutti i tentativi di riscatto, emancipazione, la sorte avversa di nascere “sotto un cielo sbagliato”. Il fantasma della sua origine la segue ovunque, Dora non riesce a chiamarlo ombra fallita di un passato sepolto, e più lo teme più ne viene coinvolta, ad ogni passo si sente braccata dal seme che la volle erba avvelenata.
“Tornano come pugni nello stomaco i ricordi della sua prima vita in vicolo Barche. La nonna con le mani sempre pronte alle sberle, il freddo, la fame che le faceva compagnia di giorno e di notte. L’elemosina sui gradini delle chiese, gli scherzi crudeli dei bambini“.
Dora salterà sopra i protocolli a lei ostili fino a sposare un medico, Eugenio Arrivabene, figlio di un ricco proprietario terriero. La sua straordinaria bellezza monopolizza gli sguardi, suscita invidia, ispira pettegolezzi nelle donne vestite di falso perbenismo.
L’incanto miete vittime folgorate da una scarpetta soave. Ben lontana da una cornice favoleggiante, il personaggio Dora si illustra da sè. L’aura angelica inganna chi nella bellezza depone l’elemento principe bastevole a se stesso, un circuito privilegiato a dispetto del labirinto della miseria. Regina delle sue ambizioni, Dora nasce e rinasce ad ogni viaggio di ritorno nel passato, passa dal tormento ad una forma di esuberanza eccessiva, vinta dal desiderio di assicurarsi un posto nel mondo che non sia nella soffitta di un palazzo cui deve ossequiarne il nome.
Dora figura eterea da eroina sì, ma con un’inclinazione ribelle al destino dell’universo femminile, ospite fisso nei salotti traboccanti di ipocrisia. La giovane rifiuta di modellare la sua presenza alle consuetudini formalizzate secoli prima.
Nel finale aleggiano non pochi presupposti per confidare nella seconda parte della vita sospesa di Dora tra la deferenza al talamo nuziale e la fuga dalla gabbia dorata.”Allora capisce che deve farsi sentire, perché le persone che non fanno rumore non esistono“.