“Diciotto castagne” di Mario Curnis

“Diciotto castagne” di Mario Curnis

“Ci siamo dimenticati come si abita il mondo. Bisogna tornare a casa”.

Le parole di uno dei più grandi scalatori italiani, il bergamasco Mario Curnis, incidono in modo piuttosto marcato il senso della biografia pubblicata da Rizzoli, assai vicina a un testamento spirituale scritto con la collaborazione del giornalista e scrittore Angelo Ponta, amico di Curnis.

Diciotto castagne” è il singolare titolo del diario perlopiù rivolto ai lettori innamorati della montagna. Presentata al pubblico attraverso un numero apparentemente comune, la memoria apre il cassetto dei ricordi con l’immagine della madre di Curnis mentre prepara al figlio un misero pranzo di diciotto castagne. Le privazioni non lo turbano affatto, del resto il dopoguerra è stato un buon maestro seduto al tavolo senza cibo indossando un vestito con la trama invaghita del brivido freddo.

"Diciotto castagne" di Mario Curnis

All’età di 86 anni, Mario Curnis scrive la voce, sua riservata compagna durante le sfide insieme a quattro generazioni di scalatori sulle vette del mondo. È stata la passione a cercarlo, il futuro di Mario era già ancorato al cantiere edile quando divenne un operaio folgorato dallo sguardo in verticale.

Sui tetti della Terra la clessidra del tempo misura ore sconosciute alla dimensione piana. Il rapporto a due con la parete rocciosa non permette l’inganno che mai consente alcun perdono alla colpa. Aver osato si paga con la vita perché la roccia si prende cura dell’uomo fedele al limite oltre il quale non deve andare.

Le prime arrampicate di Mario Curnis hanno dato la precedenza ai Torrioni Magnaghi, una catena costituita da tre massicci torrioni, Meridionale (2040), Centrale (2045) e Settentrionale (2078). E poi le Alpi, le Ande, l’Himalaya e nel 2002, all’età di sessantasei anni l’avventura ha raggiunto la vetta più ambita da ogni alpinista. L’Everest.

In questo diario palesemente associato a sentimenti malinconici, Mario Curnis elenca i compagni di cordata che lo hanno accompagnato nelle sue avventure verticali. Reinhold Messner, Renato Casarotto, Simone Moro. Con quest’ultimo, Curnis raggiunge la vetta del mondo. La montagna offre lezioni gratuite di libertà, indipendenza, convivenza con la solitudine parente senza sangue dell’eternità.

La montagna non ha intenzionalità, non è lei che ti uccide. Però ha una sua vita e questo lo senti; anche dove ci sono solo rocce percepisci l’eternità. Dentro a quell’infinito ci sei anche tu, e sei irrilevante. Lei sta lì, sei tu che vai a disturbarla, quindi sei tu che devi sapere quel che può capitare e devi chiederti: sono in grado di andare incontro a un gigante? Prima di affrontare la montagna devi affrontare te stesso“.

La storia di Mario Curnis registra cadute morali prontamente curate dalla moglie Rosanna e una quasi morte dalla quale miracolosamente è riuscito a sfuggire. Guarito nel corpo, nel 2010 improvvisamente l’anima crolla sotto il peso dello spirito infermo. Ancora una volta la montagna si prende cura di lui riportandolo agli elementi del quotidiano semplice.

La natura con tutto il suo corredo del mondo animale immerso nel polmone verde, lo libera dal male di vivere così avvinghiato ai suoi giorni. La premurosa cura di un gregge di cento capre funge da trampolino di lancio che lo riporta nella giusta traiettoria. Mario Curnis eremita per un anno porta con sé le sue medicine e un diario su cui annota la mestizia di un uomo perseguitato dalla morte.

Lentamente l’anima ne trae sollievo e un nuovo respiro risorge dalle ceneri cadute nel baratro del silenzio ovattato da ombre grigie refrattarie ad ogni accenno di luce.

C’è stato un prima e un dopo nella vita di Mario Curnis, una meditazione su ordine dell’ago impazzito di una bussola fuori controllo lo ha riportato nella posizione orizzontale a Trevasco San Vito, il paese in provincia di Bergamo dove cui insieme alla moglie ha piantato mille alberi e spostato le montagne.

Dalle cadute concepite come sfide sulla via della vita è emerso un uomo nuovo, oggi promemoria umano di una frana imprevista ma comunque possibile.

Per ritrovare qualcosa di quel che noi uomini abbiamo perduto, dobbiamo essere disposti a privarci un po’ di ciò che abbiamo accumulato: artifici, pigrizie, accessori. Questo non è l’elogio della povertà, ma una diversa idea di ricchezza“.

Questa elaborazione sulle leggi non scritte della vita è stata proselita al disprezzo degli orpelli futili del fitto bosco seduttore di vizi. Qui l’uomo viene ritratto nudo innanzi alla successione di eventi sensibili che lo hanno aiutato a comprendere la pochezza dell’eccesso.

Ormai fuori dal labirinto della sofferenza, la voce di Mario Curnis fa eco nei libri, davanti ai microfoni e alle telecamere accese affinché passi il messaggio del potente rapporto con la natura, il suo e quello di tanti uomini che da questa esperienza hanno beneficiato di un clima felice. L’esistenza che conta è assimilabile alla condizione umile, in grado di mietere vita cosciente di sapersi casa paterna perfino sui tetti del mondo.

sara