SICILIA – Nei primi tre mesi del 2024 oltre 7.600 aziende in Sicilia hanno chiuso. Tecnicamente sono cessate, come indicato nei registri della Camera di Commercio. Il dato va considerato “normale”, perché, spiega Infocamere, in coincidenza con la fine dell’anno CamCom certifica tutte le chiusura delle realtà non più attive. Lo conferma il professore Professore Ordinario di Economia e Gestione delle Imprese dell’Università di Catania, Rosario Faraci, che aggiunge: “Bisogna attendere sempre i dati dell’intera annualità per fare considerazioni più puntuali e sistematiche”.
Per le imprese il trend resta negativo negli anni
Alla stessa maniera, la statistica non va sottovalutata e va osservata. Il saldo della Sicilia, cioè il rapporto tra nuove imprese nate e cessate, è di -845 ed è il secondo più alto del Mezzogiorno. Peggio fa l’Abruzzo che conta però oltre 4mila imprese in meno della Sicilia. In Campania, la stima indica 10.359 imprese cessate. In Puglia, tale cifra si attesta a 6.981, mentre in Calabria si registra un totale di 2.885 imprese non più attive sul territorio.
“Tanto premesso, i dati appena esitati non mi sorprendono – ha analizzato il professore Faraci -, si conferma il trend negativo degli ultimi anni per i settori tradizionali, agricoltura, commercio e industria, mentre le attività professionali e tecniche crescono numericamente più delle cessazioni“.
In Sicilia saldi negativi, ma le imprese resistono
Per quel che riguarda i saldi e le proiezioni provinciali, la Sicilia mostra diversi andamenti. Negativi nel primo caso. Il saldo negativo più basso è stato registrato da Infocamere in Campania, con -596, mentre Abruzzo e Sicilia hanno dati peggiori e quasi si equivalgono. Nello specifico il saldo è di -860 e -845. Fin qui i numeri, ma come è possibile leggere il quadro regionale su mortalità e natalità d’impresa? Risponde ancora il professore Faraci. “La sostanziale tenuta (-0,18%) rispetto all’analogo trimestre dell’anno precedente (-0,19%) deve essere letta in relazione alle dinamiche dell’imprenditorialità nelle regioni, come la nostra, più povere e meno sviluppate – ha specificato il docente -. Qui si fa impresa più per necessità che non sempre per reale vocazione e dunque anche la microimprenditorialità rappresenta una sorta di ammortizzatore sociale per talune fasce sociali“.
Ma la provincia di Ragusa si distingue
Analizzando i dati provinciali sempre da Infocamere, emerge che Palermo e Ragusa si distinguono per una maggiore stabilità, nonostante i saldi in calo. A Palermo, il saldo tra aperture e chiusure si attesta solo al -0,4%, inferiore alla media regionale, situazione simile a quella di Ragusa, con una percentuale ferma al -0,8%. Al contrario, Enna e Catania registrano i saldi più elevati, rispettivamente dello 0,47% e dello 0,45%. Nell’Ennese, sono state aperte 170 aziende e chiuse 241 nei primi tre mesi del 2024, mentre a Catania i numeri sono più consistenti, con 1.489 aperture e 1.965 chiusure. Infocamere riporta saldi negativi e superiori alla media regionale ad Agrigento (-10%), Trapani (-17%), Caltanissetta (-21%), Siracusa (-0,24%) e Messina (-0,25%), segnali delle difficoltà sia a livello territoriale che regionale. Tuttavia, nel complesso, la situazione siciliana non si discosta significativamente da quella del resto d’Italia.
“La provincia di Ragusa – ha concluso il professore Rosario Faraci – ad esempio, è la sesta in Italia per indicatore di generatività in atto, secondo il Rapporto sul benvivere di Economia Civile aggiornato al 2023. Ciò significa che ha una resilienza maggiore rispetto alle altre province siciliane che la porta, in periodi espansivi dell’economia, a crescere più delle altre e, nei tempi di recessione, ad attutire meglio i colpi della contrazione“.