SICILIA – Il benessere aziendale sta diventando un fattore determinante per trattenere i lavoratori all’interno delle aziende. Se il posto di lavoro è insostenibile, il lavoratore scappa, e il rimpiazzo è sempre più difficile per la mancanza di giovani e competenze. La possibilità di cambiare è garantita non solo dalle skills individuali, ma da un mercato del lavoro più dinamico anche in Italia. La competizione tra le aziende si alza e solo quelle più attente alla qualità del posto offerto riescono a garantire per il proprio team le professionalità necessarie.
A certificarlo è la CGIA di Mestre, che ha rielaborato i dati Istat del rapporto Bes (Benessere equo e sostenibile), analizzando otto indicatori: dipendenti con paga bassa, occupati sovraistruiti, occupati con lavori a termine da almeno 5 anni, tassi di infortuni mortali e inabilità permanente, occupati non regolari, soddisfazione per il lavoro svolto, percezione di insicurezza dell’occupazione, part time involontario.
Osservando il livello di benessere aziendale, l’Italia “si spacca” in Nord e Sud. Dove è il Mezzogiorno, Sicilia soprattutto, a mostrare ancora dati molto bassi per qualità del posto di lavoro. Come scrive Cgia di Mestre, “le situazioni più critiche, purtroppo, riguardano la Sicilia, la Calabria e la Basilicata che occupano gli ultimi tre posti della classifica nazionale“. L’unica regione a fare eccezione a Sud è la Sardegna. Al contrario a Nord, in Lombardia “la qualità del lavoro e, conseguentemente, il benessere aziendale non hanno eguali nel resto del Paese. Seguono la Provincia Autonoma di Bolzano e il Veneto. Appena fuori dal podio ci sono la Provincia Autonoma di Trento, il Piemonte e la Valle d’Aosta“.
La soddisfazione per il proprio lavoro, vale a dire l’appagamento per il livello di retribuzione ottenuto, le ore lavorate, la stabilità del posto, l’opportunità di carriera, la distanza casa/lavoro, etc., tocca la punta più elevata nel 61,7 per cento della Valle d’Aosta e il livello di soddisfazione più basso nel 41,2 per cento che riguarda la Campania. In Italia un occupato su due non è soddisfatto del lavoro che svolge (per la precisione il 48,3 per cento del totale). La Sicilia mostra una percentuale inferiore, quindi gli insoddisfatti sono inferiori. Con un punteggio complessivo di 15 e una percentuale del 45%, la regione è comunque quart’ultima in Italia per lavoratori soddisfatti per il proprio lavoro.
Riguardo al numero di precari, vale a dire – spiega il Centro studi della Cgia di Mestre – la percentuale di occupati con lavori a termine da almeno 5 anni, questi si trovano per il 25,5 per cento in Calabria, per il 25,7 per cento in Basilicata e per il 27,9 per cento in Sicilia. La Lombardia, invece, è la regione che con il 10,7 per cento è la meno interessata dal fenomeno. A peggiorare il quadro siciliano c’è la percentuale sulle paghe basse. Un problema evidenziato dal 16,1 per cento dei lavoratori dell’Isola e il 17,6 per cento dei pugliesi. Per comprendere la portata del dato è possibile confrontarlo con le tre soglie più basse del Paese, cioè quelle registrate nella Provincia Autonoma di Trento (6,1 per cento), la Provincia Autonoma di Bolzano (6,5%) e in Lombardia (6,9%).
É altrettanto interessante guardare anche ai dati sui lavoratori siciliani sovraistruiti. Come spiega il Centro studi, si tratta di coloro che nel 2023 ritenevano di avere un titolo di studio superiore a quello maggiormente posseduto, per svolgere una determinata professione sul totale degli occupati. In questo caso la soglia sfiora il 30 per cento al Centro, con punte del 32,7 per cento in Umbria e che in Sicilia, a Sud, arriva comunque a superare il 27,6 per cento. La percentuale regionale è tra le 10 più alte in Italia. Quasi il 30% dei lavoratori siciliani si stanno quindi “accontentando” di un posto di lavoro “inferiore” al proprio titolo di studio. Una realtà su cui è necessario riflettere evidenziando anche quanto comunicato, lo scorso marzo a Palermo, dal presidente della Consulta regionale dei consulenti del lavoro: i laureati in Sicilia sono meno del 30% e le imprese non riescono a trovare un laureato su tre posti di lavoro offerti. Un rebus a tutti gli effetti.
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