“Se l’acqua ride” di Paolo Malaguti

“Se l’acqua ride” di Paolo Malaguti

Anni ’60. Il cambiamento epocale ha già acceso i motori di una società pronta a lasciarsi indietro usi e consuetudini cristallizzati negli anni.
Le città si svegliano dal torpore abituato a vivere nel quotidiano mediocre, come se fosse il primo premio alle mani sporche di fatica. L’umiltà non è mai stata così diffusa casa per casa, attorno al tavolo apparecchiato di solo pane c’è una madre che divide in quattro le molliche appena sufficienti per tre bocche affamate.

L’Italia sta per cedere al ritmo martellante della produzione in serie, dal più piccolo oggetto utile alla collettività alla corsa del progresso inarrestabile verso direzioni gemelle, opposte, separate.

Dare voce al cambiamento assorto nel suo stravolgente piano è il messaggio che Paolo Malaguti (docente di lettere a Bassano del Grappa, nel 2016 finalista del Premio Strega con il romanzo romanzo storico “La reliquia di Costantinopoli”) consegna ai lettori del romanzo “Se l’acqua ride“.

A chi affidare il timone della scrittura se non agli occhi di un adolescente che ha tutto il diritto di godere il panorama della sua giovane età?
Si chiama Ganbeto, il valzer sull’acqua della laguna veneta ne fa uno dei tanti “barcari” in navigazione nella rete fluviale padana composta da acque felici di donarsi al mare, quasi un gioco di trecce attorcigliate per volontà di Madre Natura.

Magari è il mestiere di barcaro a renderti un po’ cantastorie, perché passi la vita ad ascoltare il lento e sommesso chiacchiericcio dell’acqua che scivola via lungo le fiancate di larice del burcio“.

Il fiume decide se ossequiare l’antica imbarcazione oppure prendersi gioco del suo stesso elemento, agitando la potenza dei muscoli che non ha sotto i remi obbedienti ai comandi del “barcaro”. Con il massimo rispetto dello stato d’animo della corrente, Ganbeto si lascia fluttuare nello specchio d’acqua sostenuto dai sassi alla mercé degli sbalzi d’umore limpidi e trasparenti.

Forse sta lì il segreto: è vero che tutto cambia, come l’acqua dei fiumi, che un giorno ride chiara e trasparente, l’altro ringhia nera e vorticosa. Ma è anche vero che le cose, per altra via, resistono e sono dure a morire, di nuovo come l’acqua, che resta sempre lei, e fa sempre lo stesso giro”.

La stagione calda lo ritrova mozzo della Teresina del nonno Caronte che, nella staffetta dell’alba e tramonto, accumula forza fisica ma soprattutto grinta mentale indispensabile nei primi contatti con le ragazze. E con la vita.

Magari è il mestiere di barcaro a renderti un po’ cantastorie, perché passi la vita ad ascoltare il lento e sommesso chiacchiericcio dell’acqua che scivola via lungo le fiancate di larice del burcio“.

Con l’incedere del passo veloce del decennio vincente nelle pagine di storia, il testamento orale di padre in figlio perde vigore assalito dall’idolatria agli abbagli del progresso. A partire dal cambiamento del quotidiano domestico con la televisione in bianco e nero, fino alla complessa variazione della morfologia del territorio con la costruzione di fabbriche foriere di un tempo adagiato su materassi di piume.
Vogare con la Teresina abitua Ganbeto a guidare la macchina a remi del “burcio” galleggiante sul Po ed i suoi affluenti, tenuti insieme dal gorgoglìo sorridente delle acque della pianura veneta.

Il “barcaro” diventa operaio in fabbrica dimentico delle traversate benedette dalla pratica lavorativa trasmessa di generazione in generazione. Più che nel cambiamento, in un’autentica metamorfosi trova sede il fulcro dell’evoluzione data dal contesto storico e sociale.
Dal vecchio Caronte al papà di Ganbeto si ha la somma di tre uomini che camminano inseguiti da una luna cangiante per dovere di crescita. I tre “barcari” si distinguono dal timbro di voce consono ai natali distanti parecchi calendari gli uni dagli altri. Alla pelle più fresca, quella del giovane Ganbeto, spetta l’accoglienza a mani tese del cambiamento messaggero di un futuro
benevolo per le sfide da combattere con armi nuove.

Chiamare “bellezza” l’arco temporale divertito a prestare per riavere può sembrare espressione avventata, chi sarà mai il “buon samaritano” disposto a pagare il conto di un debito con il tempo?

Esiste un avviso di crescita seguito dal ciclo evolutivo in ogni cosa, ignorarlo sarebbe come avvelenare le radici di una giovane quercia.
La lettura di un romanzo di formazione mette a disposizione una lente d’ingrandimento sulle tappe delle diverse età, alcune restie a relegare al passato l’eco delle consuetudini antiche, altre bendisposte ad avvolgere la memoria rugosa sotto il tappeto del tempo.

Intanto picchia forte la bugia moderna che c’è un cimitero anche per le avventure al passaggio del “burcio” davanti la sfilata maestosa della natura, elegante, un’ottimista vestita di velluto sempreverde.

A sessant’anni dagli anni sessanta, le aspettative hanno superato il viaggio lento del remo nelle mani di un’epoca che la società vuole dispersa nelle acque rigenerate dal nuovo emerso. È la ruota del mondo che acclama a gran voce il giro di boa essenziale al compimento del futuro.

Fonte foto Credit Google/ Ibs