“La misteriosa scomparsa di Don Vito Trabìa” di Sebastiano Ambra

“La misteriosa scomparsa di Don Vito Trabìa” di Sebastiano Ambra

Il colore della copertina non lascia spazio a dubbi: si sta per leggere un giallo, per scoprire il settore specifico di appartenenza che vorrà intraprendere, non si dovrà aspettare più di un minuto. Il lettore sta per entrare nel labirinto di un giallo di stampo mafioso ambientato in una Palermo velata da uno spesso strato di mistero.

Il pericoloso latitante Don Vito Trabìa è misteriosamente scomparso. In quali mani è diventato trappola di sé stesso? Chi si è arrogato il diritto di violare le leggi scritte col sangue degli affiliati alla famiglia dei “mammasantissima”?

Da questo momento inizia un pericoloso gioco di ruoli apparecchiato da un ispettore di polizia in minigonna e tacchi a spillo (quando non è in servizio), incaricata del compito di sbrogliare la matassa di un enigma.
Si chiama Malena Di Giacomo, detta Lena, e ha solo ventiquattr’ore di tempo per ritrovare il “capo dei capi” forse rapito, forse ucciso per ordine di una volontà superiore a cui non si può negare la timorosa obbedienza.

Inizialmente affiancata dallo psicologo toscano Leonardo Colli nella stesura dei fili della ragnatela mafiosa disposta sotto la lente d’ingrandimento, presto Lena si troverà da sola nel dare una chiave di lettura a una sequenza di enigmi codificati da una mente perversa.

Sebastiano Ambra, giornalista e scrittore già apprezzato nelle piattaforme letterarie con “L’enigma del secondo cerchio” pubblicato da Dario Flaccovio Editore nel 2018, torna in libreria con un nuovo romanzo consegnato ai lettori dalla casa editrice Newton Compton Editori.

Palermo. Il capoluogo siciliano vanta la proprietà esclusiva di lasciti culturali, frutto del passaggio di civiltà produttive nell’arte e nella semina di miti e leggende perse nei secoli. L’ispettore Di Giacomo dovrà correre con le gambe e con la mente per arrivare in tempo all’appuntamento con un puzzle di quesiti da decifrare.
Arte e letteratura si fondono in una scrittura consapevole di lasciare con il fiato sospeso lo sguardo recluso tra le righe. Chi cattura chi?
Date un bicchiere d’acqua al lettore coinvolto nella vertigine di sapersi dentro un dedalo di pizzini inzuppati di punti interrogativi. Le risposte hanno bisogno di acquisire indizi, solo così si apriranno le porte alla Verità, senza dubbio velenosa, ma fino a che punto?

Lo scrittore fa da cicerone nella città di Palermo circondata dall’ispettore Lena Di Giacomo in stretta competizione con le lancette dell’orologio. Piazza Politeama, San Domenico, il Santuario di Santa Rosalia, Porta Felice, la fontana con il Genio di Villa Giulia.

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Lena, dopo aver valutato bene ogni passo, si fermò davanti alla fontana. Osservò le statue disposte cerchio,tutt’intorno, e gettò lo sguardo oltre il grande cancello che si ergeva dietro quel complesso di sculture, dividendo la villa dal maestoso Orto Botanico“.

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Si voltò e fece cenno a Leo di venire avanti. Quando gli fu accanto indicò la scritta su una lapide posta sotto la statua e lesse: “Anguem, aquilam atque canem prudens, augusta Fidelio Palladis et Cereris dona Panormus Habet“, e cioè “La saggia augusta e fedele Palermo possiede il serpente, l’aquila e il cane, doni di Pallade e Cerere“. Questo, quindi, è il posto giusto. “Anche se non credo che don Vito sia stato infilato in quella statua. Dobbiamo cercare“.

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Non è pensabile commettere errori, la fretta potrebbe deviare le indagini in un calderone rigirato sottosopra dalla mafia. A due passi da Don Vito Trabìa pullula il nipote Totuccio, la sua presenza fa invidia a una mosca attirata dal fetore, per l’insetto pura essenza di escremento ghiotto.

Sempre più assorbiti dalle pagine ci inoltriamo nella gabbia delle tigri affamate, facciamo ombra alle forme sinuose dell’ispettore Lena, spiando come lei ci ha insegnato, la doppia maschera di ogni volto.
Ai bordi dell’avventura vestita di giallo trova spazio una sfumatura leggera intorno alla vita privata dell’ispettore Di Giacomo. Dopo la laurea in Lettere entra in polizia seguendo le orme del padre, ha da poco chiuso una relazione con una donna ( Lena è omosessuale), abita da protagonista le pareti dipinte di giallo sotto il sole siciliano del ventunesimo secolo. Un raggio libero da pregiudizi avallati dal fluire degli eventi storici coerenti a sé stessi.

Calamita pura per gli appassionati dei romanzi ad alta tensione, “La misteriosa scomparsa di Don Vito Trabìa” attiva le risorse mentali di chi le ha tenute sottochiave sottovalutando la folle corsa del tempo. L’incuria sa sempre come vendicarsi.

La pressione adrenalinica avvolge il fascino di un giallo da salotto dove si argomentano espressioni di cultura superiore, quali l’inchino letterario a Leonardo Sciascia e il racconto poliziesco “La lettera rubata” di Edgar Allan Poe. L’appannaggio classico non può essere considerato l’incisione dorata della cornice, bensì la perla estratta dal forziere al momento opportuno.

L’alito dell’ultima pagina soffia sul battito del cuore veloce, troppo veloce, scosso da spasmi importati da rivelazioni inattese. Confidiamo sul futuro dell’ispettore Lena Di Giacomo impegnata in un’altra indagine da chiudere entro qualche ora in più delle ventiquattr’ore severe. La divisa merita o no un po’ di riposo?

Credit Google/Ibs