Nel 1909 all’età di soli 51 anni, la scrittrice svedese Selma Lagerlöf fu la prima donna a vincere la massima onorificenza assegnata ai vertici della conoscenza. Il Premio Nobel per la Letteratura scrisse numerosi romanzi mai distanti dal perimetro della cultura svedese, saghe di una quotidianità familiare acquisita dai racconti della nonna paterna, quando Selma era ancora una bambina.
Risale al 1904 la pubblicazione de “La leggenda della rosa di Natale“, una raccolta di racconti svedesi prestati a fare voce fiabesca alla cornice della magica aurora boreale, un contesto perfetto dove scrivere la sceneggiatura di un sogno.
Quasi le vedi, sedute a cerchio, le labbra sognanti nel proferire antiche leggende. La realtà purtroppo desta l’illusione con eccessiva prudenza, prima però la voce calda regala chimere ai testimoni di un giorno tutto da concepire. Felicità e miserie accerchiano l’umanità tra le sfumature dei sentimenti sospesi nel giardino del forse.
La fede profonda di un vecchio frate raggiunge la caverna proibita all’abito sacro, lì troverà l’uomo pronto al miracolo di una Rosa in pieno inverno. La Rosa di Natale nel giardino di un brigante.
Intanto, il viso ricamato di rughe respirava la solitudine della vecchia Agneta, mani disoccupate di un cuore su cui riposare. Tanta compassione suscitò in un frate che si trovò a condividere il suo stesso sentiero. Agneta gli confidò la sua pena. “Che tu sia tetto e preghiera alle anime erranti” fu la risposta del frate.
“Dio ha mai vietato all‘amore di aiutare o alla misericordia di confortare?”. Fu risveglio dal torpore, ragione di credere a una nuova vita facendo dono di sé alle anime disperse nel vuoto incolmabile della loro dimensione. Le paure si annidano dove manca un sostegno che impedisca la vertigine.
Quando arriva la sera, si ode l’angoscia di un violinista arrogante mentre zampilla le dita sulle corde dello strumento. Larss Larsson, questo è il suo nome, sfida il pentagramma esclusivo di un ruscello nel bosco.
“Mi chiedo che ne sarà del ruscelletto che scorre accanto alla nostra fattoria. Mi piacerebbe rivederlo un giorno. Dovrei passare da quelle parti, ogni tanto, per vedere come se la cava la mamma, se è povera e ha vita dura, da quando papà è morto. Ma preso come sono adesso non posso occuparmi di nient’altro che del mio violino!”.
La vigilia di Natale l’acqua sincera di un ruscello condusse a riva un figlio in pericolo tra le onde complici del peccato. È forse la vanità, l’ombra dell’uomo così difficile da annientare perché gemella fedele di desideri vili? Quale meta si prefigge l’umiltà intrisa nel vestito logoro del mendicante sui gradini di una chiesa? La Parola salva e risponde. “Tutti i pensieri umani sono vanità“.
Selma Lagerlöf scrive della ricchezza iniqua nel racconto “La miniera d’argento“. Un giorno il re Gustavo in visita nella parrocchia, s’imbattè nei poveri del regno, quindi interrogò il pastore sulla condizione sociale dei suoi sudditi. Attraverso il racconto di una storia, il parroco confermò quanto l’opulenza possa ingannare chi di fame vive, che sia moneta di poco valore, che sia tesoro di una miniera d’argento.
L’onore dell’uomo dimentica le tasche nel momento in cui sceglie di camminare lungo la via della saggezza. A guarire l’immagine di una presenza vistosa soccorre il decoro dell’anima, medicina presto miracolo di un uomo nuovo: nascere insieme al Signore conferisce il merito di indossare un vestito di Luce proiettato in ogni dono della Natura. Il ciclo della vita ruota ben consapevole di lasciarsi dietro un archivio di voci: se muore il ricordo, resta comunque lo scheletro del calore invidiato dalla fiamma.
Eccolo, il vestito di Natale invitato a proteggere l’inverno dell’anima. Se animata da un profondo Credo, perfino una coperta di neve diventerà culla di una Rosa nata dall’amore Spirituale, petalo di pace messaggero nel mondo. La “Rosa di Natale” promise Provvidenza per quello e per gli anni a venire, come se non potesse mai dimenticare che un tempo fioriva la Fede nella grande foresta di Göinge.