SICILIA – C’è un momento, nella vita, in cui la fragilità smette di essere una condanna e diventa luce. Un istante in cui il dolore, anziché schiacciare, plasma. È lì che nascono i veri poeti: non quelli che scrivono per mestiere, ma quelli che scrivono per “sopravvivere“, per gridare al mondo che, nonostante tutto, vale ancora la pena esistere.
Da qui prende forma la storia di Vincenzo Li Greci, giovane palermitano che ha fatto della poesia la sua arma e la sua cura, trasformando le cadute in versi capaci di toccare chiunque.
Nelle sue mani la parola diventa resistenza, catarsi, possibilità di mutare il dolore in arte. Con il suo libro “Frammenti di vetro“ ha scelto di donare al mondo non semplici poesie, ma brandelli autentici di sé, di una fragilità che diventa forza e di un vissuto che trova nella scrittura la sua più alta sublimazione.
Chi è Vincenzo Li Greci
Nato nel 2001 a Palermo, Vincenzo è studente di lettere moderne, lavora come cameriere nei fine settimana per arrotondare, pratica e insegna Aikido (arte marziale relazionale) e studia il Tenshin Shoden Katori Shinto Ryū, l’arte della spada giapponese.
Una vita fatta di disciplina e introspezione, in cui l’Oriente, la filosofia e la poesia si intrecciano in un percorso di crescita personale e spirituale.
Intervenuto ai nostri microfoni, ci racconta chi è, al di là del poeta: “È piuttosto complesso scindere Vincenzo dall’Io poetico perché tutto ciò che sono lo si può evincere da quel che scrivo e da come scrivo. Sono un sognatore, un romantico, un sensibile, ‘un’anima antica’, un introverso, ma anche una persona che conosce bene la solitudine, il dolore e che tende a tenere tutto dentro”.
Il dolore che si fa parola
La scrittura per Vincenzo non è mai stata un semplice passatempo, ma un’estrema necessità: “Scrivo per dialogare con me stesso, analizzarmi e prendermi cura delle mie fragilità sperando di poter donare alle altre persone frammenti di me in cui possono specchiarsi e sentirsi meno sole“.
A soli 12 anni – infatti – inizia a buttare giù i primi versi grazie a un concorso scolastico, e successivamente la poesia diventa rifugio, un modo per non “annegare”: “Ai miei 15 anni sentii l’estrema urgenza di scrivere come sfogo sia perché ero nel pieno dell’adolescenza, sia perché caddi in una relazione tossica e senza più alcun amico“.
Ecco che “scrivere divenne catartico e più scrivevo più sentivo che una parte di me provava sollievo nel vedere la mia sofferenza sotto una forma diversa”.
Dalla rabbia al riscatto
Tra i temi che hanno segnato la sua crescita c’è il bullismo, esperienza che porta dentro con ferite profonde ma che ha trasformato in materia poetica.
“Il bullismo mi ha fatto conoscere la rabbia, una rabbia silenziosa e incontenibilmente circoscritta nelle stanze del mio cuore. Una rabbia che fa male proprio perché non esce, perché hai paura di farla venire fuori dato che questa viene spesso associata a qualcosa di negativo“, spiega Vincenzo.
“Nella mia poesia però questa rabbia (macerata da anni di soprusi) è mutata in una forza creativa estremamente adattiva”, prosegue.
Un tema che, purtroppo, è reale ma che troppo spesso viene “accantonato” o “sottovalutato”: “Chi parla di bullismo viene additato come esagerato poiché a questa età sono normali le ‘ragazzate’. È questa superficialità, generata dalla superbia di un Ego incrollabile, che consente al perpetuarsi della prevaricazione sull’altro“.
La sua voce non è soltanto intima, ma anche universale: “Io credo che la poesia sia una eccezionale forma di resistenza perché ti educa all’ascolto, il quale lentamente distrugge le mura dell’ego e dà vita al dubbio. Il mondo sarebbe un posto migliore se ci fosse più poesia scritta e letta/ascoltata col cuore”.
La poesia come specchio dell’anima
Nei suoi versi, il dolore non è fine a sé stesso ma si trasforma in elemento di crescita. Non è più un macigno, ma un maestro: “Il dolore mi ha insegnato che questo è solo un’altra forma dell’esperienza. È attraverso il dolore che una persona cresce, proprio perché incontra ‘l’ostacolo‘ da superare e questo ti modella lentamente come argilla dando la grandissima opportunità di prendere consapevolezza di sé“.
Il tutto rapportato al suo “mondo”: “La poesia è dunque l’argilla a cui darò forma a seconda delle difficoltà che ho superato e che dovrò ancora superare e ogni volta che vedrò che sembianze l’argilla assume, capirò più cose su di me“.
Un obiettivo chiaro e una forza inesauribile: la voglia di riscatto è sempre stata la sua àncora di salvezza contro tutto ciò che, inevitabilmente, l’ha messo a dura prova.
“La mia incompatibilità con il mondo è stata una grande sfida. Tra bullismo, una lunga relazione tossica e la solitudine provocata dalla perdita dei miei amici, era per me impensabile credere che un giorno avrei superato tutto“, spiega a cuore aperto.
Ed è per questo che “ho scelto di lottare per me stesso e adesso sono sicuro di aver trovato il mio posto nel mondo, circondato da persone che mi amano“.
“Tutto è uno, uno è tutto”
Un percorso che non avrebbe affrontato da solo: la famiglia e le arti marziali sono state fondamentali. “La mia famiglia mi ha dato forza, ma iniziando a fare Aikido ho capito cosa è la vera resistenza, ho imparato anche che si può far valere i propri diritti senza prevaricare sull’altro, bensì agendo come se si fosse un’unica entità e che cadere altro non è che un’occasione per rialzarsi”, afferma.
In questo cammino la poesia diventa cura e dono: “È proprio perché curo me stesso che ho le basi solide per costruire un ponte sicuro per andare incontro all’altro, dunque l’obiettivo è duplice poiché io sono l’altro ed è attraverso l’altro che curo me stesso”.
E ancora: “Esiste un concetto filosofico a cui sono molto legato, proveniente dalla filosofia ermetica e dice ‘Tutto è uno, uno è tutto‘, è un principio che sostiene la mancanza di reali barriere tra noi e il mondo circostante, tutto è interconnesso tra il macrocosmo (il tutto) e il microcosmo (l’uno) presente in ognuno di noi”.
Silenzio, fragilità e rinascita
Centrale nella sua poetica è il rapporto con il silenzio e la solitudine, che non vede come nemici ma come strumenti. Non li teme, li ascolta: “Hanno la stessa valenza di un coltello, o li uso per nutrirmi o mi ferisco, dipende tutto da quanto sono bravo ad usarli. Non sempre, ma il più delle volte essi mi nutrono perché mi privano dei filtri che inconsapevolmente si creano stando con gli altri“.
“Non a caso spesso sento il bisogno di stare in silenzio da solo con l’unico scopo di coccolarmi un po’ e dialogare con me stesso”, come logica conseguenza.
E se dovesse raccontarsi con tre immagini poetiche, lo farebbe attraverso un haiku che racchiude l’essenza della sua visione:
“Il vento s’alza,
Un frammento di vetro
Specchia la luna“
Il vento, il frammento di vetro e la luna sono temi ricorrenti nelle sue poesie, secondo quanto ci ha raccontato Vincenzo, e indicano rispettivamente creatività, fragilità e amore.
“Un nuovo cosmo”
Ogni poeta ha il suo manifesto, il suo inno alla rinascita. Per Vincenzo è “Nuovo cosmo“:
“Un riverbero riecheggiò nell’universo
Dando principio a se stesso
E per mezzo di esso,
Scisso in creatore e natural divino,
Palesò l’ambivalente e ossimorico concetto di Tao
Esaltando la caotica armonia del tutto”
Una sorta di incoraggiamento al superamento dei limiti, ma anche all’accettazione del caos come parte integrante dell’armonia. Un’ode alla vita che si rigenera nonostante tutto.
Il futuro nei versi
Il suo primo libro, Frammenti di vetro (Edizioni Simposium), è stato pubblicato a dicembre e ha già incontrato l’abbraccio dei lettori, entrando nei cuori di molte persone: “È un libro piccolo, senza molte pretese, ma è ricco delle mie fragilità e dei miei sentimenti, motivo per cui sono stati in tanti ad averlo apprezzato e ad essersi immedesimati o ad aver rivissuto le sensazioni che con i versi andavo ad evocare”.
E il futuro? Non mancano i progetti: “Sono già tre i libri di poesia nel cassetto pronti per essere pubblicati ma al momento voglio dedicarmi alla cura del mio primo ‘figlio’ per assicurarmi che gli venga dato il giusto peso“.
Poi confessa: “Oltre questo, mi stuzzica l’idea di partecipare al primo (spero di una lunga serie) poetry slam e vorrei inoltre darmi anche alla prosa, magari partendo da possibili raccolte di racconti e libri per bambini“.
Insomma, le idee sono tante, la voglia di fare è molta, ma “preferisco non correre e dare a tutto il giusto tempo“.
Il messaggio universale
Se dovesse lasciare un messaggio, Vincenzo lo sintetizza così:
“Non sei solə. Chiunque tu sia, siamo fatti della stessa sostanza, le barriere del tu e io vengono abbattute dalla poesia e spero di farti coraggio, spero di rallegrarti, ma anche di farti piangere e arrabbiare perché sono dei sentimenti legittimi.
Mi auguro sempre che chi legge i miei versi possa avere uno strumento in più per ascoltarsi perché farlo è il primo passo che ti porta a stare bene”.
Nessuno è davvero solo
C’è una bellezza che nasce dal dolore e che non si lascia spegnere. C’è una forza che germoglia nella fragilità e diventa scrittura. La poesia di Vincenzo Li Greci non è evasione, ma resistenza. Non è rifugio, ma atto di coraggio. È l’urlo silenzioso di chi ha trasformato bullismo e solitudine in strumenti di rinascita.
Nei suoi versi i “frammenti di vetro” non sono soltanto ferite, ma specchi che riflettono la luce della luna. E se la poesia, come lui stesso afferma, è un ponte, allora il suo messaggio arriva forte e chiaro: nessuno è davvero solo, perché nel frammento di ciascuno si riflette il cosmo intero.
E forse è proprio qui il segreto della sua penna: ricordarci che siamo fatti della stessa sostanza delle stelle, fragili e infiniti al tempo stesso, capaci di cadere e di rinascere mille volte.
Vincenzo non scrive solo poesie: costruisce universi, scolpisce la speranza, indica la strada. E ci lascia una certezza che vibra come un’eco dentro l’anima: finché ci sarà poesia, nessuna oscurità potrà mai vincere del tutto.



