“Cose che non si raccontano” di Antonella Lattanzi

“Cose che non si raccontano” di Antonella Lattanzi

Ogni scrittura è un parto di emozioni che, per un tempo indefinito, ha ingombrato tutti gli angoli della culla mentale. Scrivere alleggerisce il peso di pensieri che nel labirinto grigio hanno costruito la loro casa con angosce dietro rivoli di lacrime“.

Cose che non si raccontano” di Antonella Lattanzi, è stato incluso tra i dodici candidati al Premio Strega 2024. La scrittrice e sceneggiatrice di origine pugliese vanta importanti riconoscimenti in ambito letterario e cinematografico con le sue opere di narrativa, saggistica e storie per il grande schermo.

Cose che non si raccontano” è un romanzo autobiografico attraverso cui una donna di quarant’anni, con un atto di grande generosità, decide di raccontare la sua piaga ad altre donne che forse hanno condiviso il suo stesso percorso, e che nell’incontro simbiotico con le pagine del romanzo potranno leggere confidenze con un potente messaggio di speranza.

Nell’ alba di un giovane respiro ci si può comodamente sdraiare, ma la leggerezza ha breve vita e nel tempo in cui gli anni sembrano minuti in volo verso un tetto sicuro di mille domani è già cominciato il conto alla rovescia.

Il grembo di una madre è subordinato alla prodigalità di un ciclo biologico che scandisce giorni, ore, minuti senza alcun margine di flessibilità.

Antonella Lattanzi da giovane non volle essere madre. Per due volte negò la vita a un figlio concepito (seguendo un principio cieco di benedette opzioni) nel momento sbagliato. Il reset del dono della vita fu il preludio di un dramma che divenne angoscia molti anni dopo.

Lattanzi si ritrova a voler raccontare tutte le decisioni che hanno siglato il suo posto nel mondo. Sceglie di dire il mai detto perfino all’intimità del suo cuore, adesso stordito davanti al bilancio in passivo del tempo andato a male. Non c’è ieri che sfugge al biglietto da visita di una scelta irrazionale con il solo attenuante della giovane età.

Ho una diga nella testa dove stanno nascoste tutte le cose che fanno davvero troppo male. Quelle cose, io non voglio dirle a nessuno. Io non voglio pensarle, quelle cose. Io voglio che non siano mai esistite. E se non le dico non esistono“.

Gli anni sono diventati frutti di un albero pieno di foglie incapaci di offrire un nido a un vagito. Antonella resta con le mani in mano senza poter tenere tra le braccia una miniatura d’amore alla quale non farà mai da madre.

Sulla giostra dei sensi di colpa salgono a turno sentimenti di rabbia riversi in una relazione straziata da ciò che non è mai stato. Non ha più senso prendere a pugni le ambizioni, la pulsione per la carriera di scrittrice che ha preteso tempo, troppo tempo per volare alto nella cima dei sogni. Da lassù il vuoto che negli anni si è sparso da solo correndo a destra e a sinistra dietro illusioni mediocri, adesso è un eremo di sofferenza figlia dell’età acerba.

Intanto, tutto mi fa male. E col tempo tutti sembrano dimenticare ciò che è successo, perché io non ne parlo mai. Questo mi fa ancora più male. Non avere nessuno che mi chiede più come stai, raccontami. Lo so che lo fanno pensando di fare il mio bene: non vogliono toccare il discorso per paura di intristirmi. Non sanno che io sono Toni, quella che dice sempre stronzate, ride sempre, sdrammatizza sempre, fa anche battute su quello che è successo; e dento è un buco nero“.

Quando un figlio non arriva si bussa alla porta della scienza con un fardello di paure di lenta acquisizione nel lungo iter della fecondazione assistita che concede l’unica (e l’ultima) possibilità di diventare madre.

Sulla soglia della felicità tenuta in ombra da “cose che non si raccontano” le risposte anticipano le preghiere ben consapevoli dell’inferno emotivo che sta per deflagrare in ogni cellula del corpo.

Sarò una buona madre? Saprò riconoscere la responsabilità del mio grembo mentre brulica di vita?

Il protocollo sanitario prevede stimolazioni ormonali, somministrazione di farmaci, provette, aghi puntuali come lancette svizzere, perché da questo momento ogni fase successiva dipende dai numeri registrati nei numerosi referti. Niente è naturale. Mentre le porte dei laboratori si aprono annunciando esiti di studio, su una sedia di un’anonima sala d’aspetto una donna sta cercando di fare ordine nel groviglio di nervi che segue le indagini sul grembo non più fecondo.

Questa penna decide di non dare traccia della seconda parte del calvario al femminile riportato in un’autobiografia che capovolge l’epilogo della favola. Affinché il dramma personale non venga coinvolto in uno sciame di pregiudizi, è bene dare una ponderata lettura sull’odissea di una donna che ha vissuto le dolorose contraddizioni del rifiuto prima e del forte desiderio poi di diventare madre.

Quando lo scrivo, sono gli unici momenti in cui non penso a questo presente inammissibile. In cui, pur nell’immersione nel dolore e nei ricordi che non voglio ricordare, c’è un sottofondo di gioia. Perché sto scrivendo il mio libro“.

sara