Strage di via D’Amelio: 32 anni dopo il ricordo di Paolo Borsellino

Strage di via D’Amelio: 32 anni dopo il ricordo di Paolo Borsellino

SICILIA – Era il 19 luglio 1992, ovvero 32 anni fa, quando moriva il magistrato siciliano Paolo Borsellino, a soli cinquantasette giorni di distanza dal suo collega e amico Giovanni Falcone.

In occasione di questa giornata, faremo qualche passo indietro per ricordare uno dei simboli più importanti della lotta alla mafia, in particolare di Cosa Nostra, rimasto vittima di un attentato, la cosiddetta Strage di via D’Amelio nella città di Palermo.

Qualche passo indietro

L’intenzione di Cosa Nostra (l’associazione a delinquere di tipo mafioso-terroristico presente soprattutto in Sicilia), di uccidere il giudice Paolo Borsellino, risalirebbe addirittura all’inizio degli anni ’80, tempi in cui il magistrato seguiva le indagini sui responsabili dell’omicidio del capitano dei carabinieri Emanuele Basile. All’atto pratico però, i primi segni concreti si verificarono sette anni dopo, periodo nel quale Borsellino ricopriva il ruolo di procuratore capo a Marsala.

Fu il boss Salvatore Riina ad incaricare Baldassare Di Maggio, esponente del clan dei corleonesi, il compito di spiare il magistrato e le sue mosse, quando si allontanava per trascorrere le vacanze estive nella sua villa al mare a Villagrazia di Carini.

Successivamente si passò all’attuazione vera e propria del “piano”, che consisteva nell’uccisione del giudice tramite un fucile di precisione o un’autobomba, collocata durante il tragitto percorso da Borsellino da casa a lavoro.

Le ipotesi del progetto però trapelarono all’esterno, di conseguenza aumentarono le misure di sicurezza intorno al magistrato, bloccando ogni eventuale tentativo di attentato.

In seguito, provarono nuovamente a compiere l’omicidio, avvalendosi dei mafiosi della Noce e di Porta Nuova, che avrebbero dovuto colpirlo con delle armi da fuoco mentre il magistrato si recava in edicola per comprare il giornale, ma all’ultimo momento venne sospeso tutto a causa della non fattibilità del piano, a seguito di un paio di appostamenti effettuati intorno all’abitazione.

I “colpi” da attuare secondo Riina

Dopo la sentenza della Cassazione che confermava gli ergastoli del Maxiprocesso di Palermo, emessa il 30 gennaio 1992, si svolsero alcune riunioni della “Commissione interprovinciale” di Cosa Nostra, presiedute dal Boss Salvatore Riina, in cui vennero individuati determinati soggetti da colpire, primo tra tutti l’onorevole Salvo Lima, e all’interno delle quali venne presa la decisione di preparare degli attentati contro i giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.

Infatti, l’omicidio di Lima avvenne il 12 marzo del medesimo anno, a seguire ci fu quello di Falcone, attentato in cui furono coinvolti anche la moglie e tre agenti della scorta, e poco tempo dopo ci sarebbe dovuto essere anche quello di Borsellino, così come da “programma”.

Secondo la propria pianificazione, Riina manifestò in una successiva riunione, alla quale parteciparono Giovanni Brusca, Michelangelo La Barbera, Salvatore Biondino, Raffaele Ganci e Salvatore Cancemi, la sua “premura/fretta” di eseguire un attentato nei confronti di Borsellino, “affidando” la responsabilità e l’incarico in particolar modo a Ganci e Biondino, chiedendo loro che venisse fatto il prima possibile.

I giorni che precedevano l’attentato

Durante la prima settimana di luglio, il capo della Famiglia di Brancaccio, Giuseppe Graviano, insieme al suo “autista” Fabio Tranchino, effettuarono un primo sopralluogo in via D’Amelio.

L’8 luglio, durante la notte, Gaspare Spatuzza e Vittorio Tutino (mafiosi di Brancaccio) rubarono in via Bartolomeo Sirillo una Fiat 126 color amaranto, eseguendo così l’ordine di Cristofaro Cannella (braccio destro di Graviano).

La vettura venne poi portata in una sorta di “magazzino” nel quartiere Brancaccio, dove Spatuzza custodiva alcuni fusti di metallo contenenti esplosivo militare del tipo Semtex-H (miscela di PETN, tritolo e T4) ricavato da residuati bellici ripescati in mare.

Tre giorni dopo, l’11 luglio, il veicolo venne portato in un garage in Corso dei Mille, per far riparare i freni e la frizione ad un meccanico di fiducia.

Quello stesso giorno, Salvatore Biondino, i suoi due cugini omonimi Salvatore Biondo, soprannominati “il corto” e “il lungo”, e Giovan Battista Ferrante (della Famiglia di San Lorenzo), fecero una prova del telecomando e delle trasmittenti che sarebbero state utilizzate nell’attentato.

Qualche giorno dopo, tra il 13 e il 14 luglio, Raffaele Ganci e il figlio Domenico andarono a trovare il nipote Antonino Galliano, impiegato come guardia giurata in una filiale della Sicilcassa e “uomo d’onore” della Famiglia della Noce, per incaricarlo di effettuare, la domenica successiva, il pedinamento di Borsellino, come già si era verificato precedentemente anche con Falcone poco prima nella strage di Capaci.

Sempre durante quei giorni inoltre, Graviano compì un secondo sopralluogo in via D’Amelio, insieme a Tranchina.

Il 16 luglio, pochi giorni prima della strage, Giovanni Brusca si mise a disposizione di Biondino per l’attentato, come aveva fatto per gli omicidi di Giovanni Falcone e Rocco Chinnici, ma egli rispose di essere già “sotto lavoro” e pertanto di non avere bisogno del suo aiuto.

Inoltre, sempre in quella giornata, Biondino intimò a Ferrante di non allontanarsi da Palermo per andare al mare la domenica successiva, in quanto ci sarebbe stato “del da fare”.



Un paio di giorni dopo anche Ganci informò Cancemi che l’attentato sarebbe avvenuto quella domenica, durante una visita del magistrato alla madre, precisando che Biondino aveva curato ogni dettaglio affinché l’esecuzione riuscisse per certo.

La mattina del 18 luglio, il giorno prima dell’attentato, Spatuzza e Tutino andarono a comprare da un elettrauto a Corso dei Mille due batterie per auto e un’antennina da collocare sull’autobomba.

Nel primo pomeriggio, lasciarono la Fiat 126 e l’attrezzatura acquistata in un garage di via Villasevaglios, in seguito si sono recati nella carrozzeria di Giuseppe Orofino a Corso dei Mille, per rubare le targhe da un’altra Fiat 126, in modo da consegnarle a Graviano.

Sempre quel giorno, Biondino diede a Ferrante un bigliettino su cui era annotato un numero di cellulare, al quale comunicare gli spostamenti di Borsellino, dandogli poi appuntamento per la mattina successiva.

La Strage di via D’Amelio

Il 19 luglio mattina, i mafiosi delle Famiglie della Noce, Porta Nuova e San Lorenzo iniziarono il “pattugliamento” già dalle ore 07:00 intorno a via Cilea, in cui abitava Borsellino, e via D’Amelio.

Due le autovetture, la prima con a bordo Biondino e Biondo “il lungo”, la seconda invece con Cancemi e Raffaele Ganci mentre Galliano, Ferrante e i fratelli Domenico e Stefano Ganci si muovevano singolarmente, a volte anche a piedi.

Il pedinamento però venne sospeso per l’arco della mattinata, per poi riprendere nel pomeriggio, in quanto il giudice non andò dalla madre di mattina, per recarsi con la famiglia nella villa al mare a Villagrazia di Carini.

L’esplosione

Ferrante, alle ore 16:52, mentre si trovava in una traversa di viale della Regione Siciliana, vide il passaggio delle tre auto blindate della scorta che stavano portando Borsellino in via D’Amelio, quindi chiamò immediatamente numero segnato sul bigliettino da una cabina telefonica, avvisando degli spostamenti chi di dovere.

Esattamente sei minuti dopo, alle ore 16:58, attraverso un telecomando a distanza, venne fatta esplodere la Fiat 126 rubata, contenente circa novanta chili di tritolo, proprio in via Mariano D’Amelio, palazzo in cui abitavano la madre, Maria Pia Lepanto e la sorella Rita Borsellino, e luogo in cui si trovava il magistrato che stava per andare a trovarle, com’era solito fare la domenica.

Nell’esplosione morirono e rimasero coinvolti il magistrato Paolo Borsellino e cinque agenti della scorta, Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina, Claudio Traina ed Emanuela Loi, prima donna della Polizia di Stato a cadere in servizio, nonché a far parte di una scorta. L’unico sopravvissuto fu l’agente Antonino Vullo, che al momento dell’esplosione stava parcheggiando una delle auto blindate.

I “57 giorni” che separavano le due Stragi

Borsellino nei circa due mesi che separavano la sua morte da quella di Falcone, rilasciò numerose interviste e partecipò a parecchi convegni per denunciare e far luce sull’isolamento che i giudici sono costretti a “subire” e sull’incapacità o la mancata volontà da parte della politica di dare risposte serie e convinte alla lotta alla criminalità organizzata.

Inoltre svariate volte mise in evidenza la “fine” che ogni magistrato “sovraesposto” è destinato a fare, senza sostanzialmente avere colpe, se non quella di andare fino in fondo a determinate situazioni, nel tentativo di sconfiggere questo fenomeno chiamato “mafia”.

Oggi, 32 anni dopo

Nella giornata di oggi, avranno luogo in tutta Italia, specialmente in Sicilia, molteplici cortei, iniziative e manifestazioni, per rendere omaggio a Paolo Borsellino e alle vittime della Strage di via D’Amelio.

Inoltre quest’anno, come ormai da diversi anni, il Liceo Artistico Statale “Emilio Greco”, in collaborazione con l’ANM (Associazione Nazionale Magistrati), in ricordo delle Stragi che hanno segnato profondamente e in maniera forte/indelebile ognuno di noi, ha realizzato un’installazione artistica, raffigurante una delle immagini più iconiche dei giudici Falcone e Borsellino.

La “Scalinata della Legalità” a Catania

La cosiddetta “Scalinata della Legalità” è stata creata seguendo uno schema ben preciso, con vari step. I lavori, in base alla tabella, sono cominciati mercoledì 17 aprile con il ricalco del disegno preparatorio e la numerazione colori, sono seguite due stesure dei grigi, una effettuata giovedì 18 e l’altra mercoledì 24, poi martedì 30 si è passati a dipingere la parte “rossa” della bandiera e giovedì 2 quella “verde”.

In ultimo, dopo diverse fasi di rifinitura che hanno avuto luogo fino a lunedì 20 maggio, si è giunti alla sistemazione del materiale per il trasporto e mercoledì 22 al montaggio, sistemando appositamente ogni “lastra” per scalino, nelle scale del Palazzo di Giustizia di Catania, situato a Piazza Giovanni Verga.

L’inaugurazione si è svolta il giorno seguente, il 23 maggio, in occasione della Giornata della Legalità, in ricordo della Strage di Capaci.

L’opera, come previsto e salvo ulteriori proroghe, rimarrà nella scalinata del Tribunale di Catania anche nella giornata di oggi, per ricordare Paolo Borsellino e le vittime della Strage di via D’Amelio.

La data di smontaggio finale invece è stata fissata per lunedì 22 luglio.