SICILIA – “In carcere si hanno rapporti sessuali, ma non sempre sono consensuali”. Queste le parole di Aldo Di Giacomo, segretario del sindacato di polizia penitenziaria, sul silenzioso caso delle violenze sessuali dietro le sbarre. La Sicilia si piazza al secondo posto per fenomeni verificati.
Il problema più grave? “Solo l’1 per cento viene denunciato, per paura, vergogna, con i più deboli costretti a pagare l’assenza di misure di tutela personale”, spiega il segretario.
Il caso violenze sessuali in carcere
“Una situazione che denunciamo da anni e di cui nessuno vuole parlare: sono centinaia, ogni anno, i casi di violenze sessuali, sopraffazioni, umiliazioni subite da compagni di cella nei penitenziari come negli istituti per minori. Le conseguenze per i detenuti che subiscono la violenza sono devastanti specie a livello psichico sino a suicidi e tentativi di suicidio, oltre a varie forme di autolesionismo”.
Nell’istituto di Pavia, la direttrice ha emesso un provvedimento per fornire 720 preservativi ai detenuti, motivando l’iniziativa come misura a “carattere terapeutico”.
“L’espressione utilizzata nella circolare della direttrice di Pavia -spiega Di Giacomo- non è stata accompagnata da ulteriori spiegazioni ufficiali ma è semplice pensare che l’uso dei preservativi può essere legato alla prevenzione di malattie sessualmente trasmissibili come HIV, epatiti o sifilide”.
I dati
“Del resto la diffusione di malattie infettive come l’Hiv già ha raggiunto livelli allarmanti con alcune migliaia di detenuti (in gran parte tossicodipendenti) che risultano Hiv positivi, a cui si aggiungono i portatori attivi del virus dell’epatite B ed altre malattie a trasmissione virale. La regione che sembra avere il numero più alto di violenze è la Campania con 20 casi denunciati l’anno, seguita dalla Sicilia con 14”.
“La realtà è che quando non arrivano le indagini sui casi di violenza sessuale in cella, c’è la riprova che forse solo l’1 per cento viene denunciato, per paura, vergogna, con i più deboli costretti a pagare l’assenza di misure di tutela personale. È un fenomeno rispetto al quale l’amministrazione penitenziaria, volutamente, non è in grado di fornire dati specie se si pensa allo scambio di sesso di detenuti tossicodipendenti, alcolisti in cambio di psicofarmaci e alcol e di detenuti con problemi psichici in cambio di generi alimentari o oggetti“.
“Non è un mistero – aggiunge Di Giacomo – che le possibilità di chi si trova in carcere non sono uguali per tutti, così chi ha più forza fisica, economica e mentale riesce a imporsi sugli altri. Di conseguenza c’è chi scambia vino, medicine, anche oggetti personali, per sesso. Le conseguenze per i detenuti che subiscono la violenza e che non denunciano per paura di continuare ad essere “prede” degli altri carcerati e perché si temono altre ritorsioni. Di fronte a questo fenomeno – che ha bisogno di indagini e ricerche con l’impiego di personale specializzato – il Dap volta la testa per occuparsi del “diritto all’amore” dei detenuti e delle cosiddette stanze per l’amore, fingendo di ignorare quanto accade in cella in termini di violenze sessuali”.