SICILIA – Durante l’interrogatorio di garanzia davanti al giudice Alfredo Montalto, Laura Bonafede, figlia del boss di Campobello di Mazara Leonardo Bonafede, ha scelto di non rispondere alle domande. La donna si trova attualmente in carcere, accusata di favoreggiamento e procurata inosservanza della pena, aggravati dal fatto che avrebbe agevolato l’organizzazione criminale Cosa Nostra.
Secondo le indagini, Bonafede avrebbe fatto parte della rete di fiancheggiatori che ha coperto la latitanza di Matteo Messina Denaro, il padrino di Castelvetrano. Per anni, la donna è stata la compagna del famigerato criminale e avrebbe mantenuto un forte legame con lui nonostante la latitanza.
I carabinieri del Ros hanno trovato diverse lettere, anche d’amore, nel covo di Messina Denaro, che dimostrano la profondità dei rapporti tra il boss e la maestra. La donna è anche la moglie di Salvatore Gentile, un assassino di mafia condannato a due ergastoli.
L’inchiesta ha inoltre rivelato il rapporto tra Messina Denaro e la figlia di Bonafede, Martina Gentile, che il padrino considerava come una seconda figlia e che avrebbe cresciuto insegnandole i “valori” della mafia.
Nonostante la richiesta di arresto avanzata dalla Procura per la Gentile, il giudice ha deciso di respingere l’istanza.
Il boss Matteo Messina Denaro, che per curarsi, durante la latitanza usava l’identità del geometra Andrea Bonafede, chiese che venisse secretato il suo fascicolo sanitario elettronico, il dossier che racconta la storia medica di ogni cittadino e che ciascun paziente può consultare e scegliere di rendere non accessibile agli operatori sanitari.
È questa l’ultima scoperta degli investigatori che, lo scorso gennaio, hanno catturato il boss di Castelvetrano e che stanno cercando di ricostruire gli ultimi periodi della sua latitanza durata 30 anni.
Messina Denaro, che ha usato i documenti del geometra di Campobello Mazara per ottenere le cure del cancro al colon da cui è affetto, successivamente arrestato per associazione mafiosa, attraverso la compilazione di un modulo, a firma di Bonafede, aveva negato il consenso alla conoscenza del proprio percorso sanitario.
Il particolare emerge dall’inchiesta che ha condotto in cella il medico curante del boss, Alfonso Tumbarello accusato di concorso esterno in associazione mafiosa e falso. Tumbarello ha sostenuto di non aver conosciuto la reale identità del paziente al quale, a suo dire, prescriveva farmaci ed esami sulla base di diagnosi che egli gli faceva avere e sulla base del fascicolo sanitario elettronico. Il medico ha raccontato di aver creduto che a richiedere le sue prestazioni fosse il vero Andrea Bonafede, suo reale assistito, che, però, per mantenere nascosta la sua patologia, preferiva non sottoporsi a visite direttamente allo studio.
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