L’autostrada che non c’è: il “calvario quotidiano” e il “cantiere permanente” della A19

L’autostrada che non c’è: il “calvario quotidiano” e il “cantiere permanente” della A19

SICILIA – Tre ore – e spesso anche di più – per percorrere circa 190 chilometri. Non stiamo parlando di un’autostrada del dopoguerra o di una strada di montagna dimenticata, ma della A19 Catania–Palermo, la principale arteria che collega le due città più importanti della Sicilia. Quella che dovrebbe essere una via di scorrimento veloce si è trasformata in un labirinto di cantieri, deviazioni, restringimenti di carreggiata e tratti a doppio senso.

Chi la percorre lo sa bene: l’autostrada non è più un’infrastruttura, ma un percorso a ostacoli. Un nastro di asfalto spezzato, dove ogni pochi chilometri il guidatore deve rallentare, cambiare corsia, affrontare deviazioni improvvise, imboccare gallerie a doppio senso, rassegnandosi a code e rallentamenti.

Non esiste un tratto lineare senza interruzioni: la continuità è solo quella del disagio.

Il viaggio da Catania verso Palermo

Il calvario comincia già all’altezza di Catenanuova, dove si incontra il primo importante restringimento: si procede a doppio senso nella carreggiata di andata. Poco più avanti, all’altezza del ponte Cardillo, la corsia di emergenza “scompare” del tutto, senza alcuna via di fuga in caso di guasto o incidente, lasciando agli automobilisti la sensazione di viaggiare senza alcun margine di sicurezza.

A circa 2,8 km da “Secchiello”, un nuovo imbuto: corsia unica, senza banchina, e ancora una volta senso di precarietà. La galleria “Misericordia” è un passaggio a corsia ridotta, con senso unico alternato, mentre prima della galleria “Cappuccini” lo scenario si ribalta e il traffico si fa ancora più caotico: le auto provenienti da Catania invadono la corsia opposta, costringendo chi viaggia verso Palermo a “condividere” la strada.

Allo svincolo per Caltanissetta, la situazione peggiora ulteriormente. Per lunghi tratti la carreggiata in direzione Catania è stata smontata per intero: rimane solo quella verso Palermo, utilizzata in doppio senso. Un imbuto che annulla qualsiasi possibilità di scorrimento veloce e rende ogni chilometro una lotteria di tempi e nervi.

Superato Resuttano e arrivati verso Tremonzelli, la sequenza continua: deviazione dopo deviazione, restringimenti prima e dopo lo svincolo Irosa e deviazioni a non finire. La marcia si spezza continuamente, in un susseguirsi di frenate, code e improvvise ripartenze. Alla fine, quando la A19 si innesta sulla E90, non c’è respiro: ad attendere i viaggiatori ci sono altri cantieri.

Il bilancio di questa direzione è sconfortante: oltre 20 deviazioni lungo meno di duecento chilometri. Percorrere la Catania–Palermo significa mettere in conto più di tre ore di viaggio, senza considerare imprevisti, incidenti o anche solo le inevitabili code dovute al traffico.

Il viaggio inverso: da Palermo a Catania

Ma se la situazione è drammatica andando verso Palermo, non va meglio nel senso opposto. Anzi, per certi versi, il senso di smarrimento è ancora maggiore. Chi parte da Palermo per raggiungere Catania si ritrova ad affrontare una lunga serie di deviazioni – circa 12 in totale – che si alternano con una cadenza quasi ossessiva.

Alcune costringono i mezzi a viaggiare nella corsia opposta, altre attraversano gallerie interamente ridotte a doppio senso. Il copione è sempre lo stesso: corsie che “spariscono”, carreggiate ristrette, sensi di marcia invertiti.

Anche qui, il tempo di percorrenza si dilata oltre misura, trasformando il viaggio in una prova di resistenza.

Già dopo pochi chilometri, infatti, iniziano i primi restringimenti, numerati uno dopo l’altro da chi cerca di contarli per mantenere lucidità. Alla quarta deviazione segue subito la quinta: in quel tratto gli automobilisti sono costretti a viaggiare nella corsia originariamente destinata a chi procede verso Palermo. Più avanti, una galleria molto lunga diventa un imbuto a doppio senso, con il traffico che scorre lento in entrambe le direzioni.

E si procede sempre così. All’ottava deviazione si attraversa un’altra galleria a doppio senso, con i veicoli che si sfiorano a pochi centimetri di distanza. Alla fine del conto, sono circa dodici i punti critici censiti lungo il percorso Palermo–Catania. Dodici interruzioni che dilatano ancora una volta i tempi di percorrenza, rendendo impossibile programmare un viaggio senza la paura di accumulare ritardi.

Un’arteria spezzata

La verità è che oggi la A19 non è più un’autostrada. È un cantiere permanente, una strada a tratti interrotta, che richiede pazienza, nervi saldi e spirito di adattamento. Ogni deviazione non è soltanto un rallentamento: è un simbolo della fragilità infrastrutturale di un’isola che, per collegare i suoi due poli più importanti, è costretta ad affidarsi a una strada che non garantisce né velocità né sicurezza.

Eppure questa arteria dovrebbe essere la spina dorsale della mobilità siciliana. Non solo collega due metropoli, ma attraversa il cuore dell’isola, porta merci, turisti, lavoratori, studenti.

È la via che unisce l’entroterra alle grandi città, che consente alle imprese di muovere beni e servizi. Invece è diventata sinonimo di disagio, esasperazione, lentezza.

La domanda sospesa

Non serve cercare colpevoli o puntare il dito: i lavori sono necessari, le manutenzioni inevitabili, le frane e i cedimenti vanno messi in sicurezza. Ma il punto resta uno: oggi l’autostrada A19 non garantisce la funzione per cui è nata.

La Sicilia centrale si ritrova così isolata, tagliata fuori da una mobilità dignitosa, mentre migliaia di automobilisti ogni giorno affrontano lo stesso calvario, rassegnati a percorsi che sembrano non finire mai.

La domanda che resta sospesa è la stessa che si fanno pendolari, lavoratori, famiglie e imprese, fermi in fila tra un cantiere e l’altro: fino a quando?

Le foto di alcuni punti “critici”