SICILIA – Negli ultimi tempi, sui social, come ad esempio Facebook, si è diffusa una grande confusione riguardo alla distinzione tra “boati” e “tuoni“. Molti utenti cercano risposte su Google, trovando diverse spiegazioni e rivolgendosi spesso a vulcanologi e meteorologi per chiarimenti.
Tuttavia, nonostante la presenza di molte informazioni online, la capacità di distinguere con precisione questi fenomeni sembra ancora limitata, alimentando il dibattito e la disinformazione.
Per fare luce su questo tema e offrire una spiegazione chiara e autorevole, abbiamo intervistato il meteorologo Stefano Albanese (Cms) e il vulcanologo dell’INGV, Eugenio Privitera, due esperti nei loro rispettivi campi.
Con la loro spiegazione, possiamo comprendere meglio sia le differenze tra questi suoni che l’impatto dei cambiamenti climatici e dei fenomeni naturali sull’ambiente e la vita quotidiana.
Le principali differenze tra un boato e un tuono, in termini di suono, riguardano il contesto. Albanese ha spiegato che “il tuono è un fenomeno uditivo meteorologico che avviene in seguito a un fulmine. Quest’ultimo riscalda l’aria in maniera repentina, generando un’onda sonora, simile a un’esplosione”.
“Il boato, invece, è più generico: può anche essere un tuono, ma si riferisce a un suono in generale. Ad esempio, sentiamo il boato di un’eruzione vulcanica o di un aereo che supera la barriera del suono”.
Il tuono avviene soprattutto nei temporali e in altre situazioni meteorologiche in cui sono presenti i fulmini. Può propagarsi con maggiore intensità in presenza di venti forti.
Il Mediterraneo è una delle zone del mondo in cui i cambiamenti climatici sono più evidenti. Si sta riscaldando più velocemente rispetto ad altri mari.
Albanese afferma: “Questo aumento di temperatura porta a un maggiore accumulo di energia, e di conseguenza a fenomeni meteorologici più estremi, come temporali intensi, trombe d’aria e grandinate. Inoltre, i cambiamenti climatici tendono a rendere il clima “più pigro“, con una maggiore difficoltà a variare”.
Basti pensare alle ultime estati: queste sono state caratterizzate da condizioni cicloniche africane persistenti. Mentre in passato le ondate di calore duravano solo pochi giorni, ora possono protrarsi per 2 o 3 settimane.
“I cambiamenti climatici stanno influendo sia sull’intensificazione dei fenomeni violenti, sia sulla durata delle ondate di calore, due facce della stessa medaglia”.
Per quanto riguarda le cause della siccità, l’aumento e la persistenza delle alte pressioni estendono i periodi di siccità, portando a crisi idriche come conseguenza diretta.
“Le falde acquifere soffrono e la popolazione si ritrova con meno acqua a disposizione. Le correnti d’aria, nei cambiamenti climatici, svolgono un ruolo chiave: il globo è un sistema atmosferico complesso, dove le masse d’aria sono in continuo movimento e regolano il nostro clima”.
Se queste masse d’aria si muovono con minore intensità o precisione, la loro influenza diminuisce. Albanese conclude: “Ci si auspica che questo autunno sia migliore rispetto a quello dell’anno scorso e che le masse d’aria, già in movimento dal Nord Europa, possano portare piogge e contribuire a risolvere almeno parzialmente i problemi idrici”.
L’esperto in questione, il dottor Eugenio Privitera, chiarisce che pochi fenomeni naturali producono boati simili a quelli vulcanici.
“Sono pochi i fenomeni naturali che generano boati simili a quelli vulcanici. Possiamo ricordare i meteoriti o i bolidi che, entrando in contatto con l’atmosfera terrestre, possono creare boati molto intensi, confondibili con quelli vulcanici. Altri suoni prodotti da fenomeni naturali sono abbastanza peculiari da non trovare somiglianze con quelli vulcanici, come nel caso dell’Etna”.
Privitera spiega anche che esistono inoltre fenomeni generati dall’uomo, come esplosioni o il superamento della barriera del suono da parte dei jet, che producono boati simili a quelli vulcanici.
Per distinguere le varie fenomenologie vulcaniche, come esplosioni stromboliane o di gas e crolli, l’udito umano non è sufficiente. Tuttavia, è possibile differenziare tali fenomeni, e i crateri che li hanno generati, attraverso l’uso di segnali infrasuoni, non percepibili dall’orecchio umano.
“Questi segnali vengono captati con microfoni particolari e analizzati in base a caratteristiche come ampiezza, frequenza e forma d’onda. Con l’esperienza, sono stati sviluppati numerosi metodi per distinguere le varie fenomenologie vulcaniche”.
Il vulcanologo Privitera chiarisce che “i cambiamenti climatici non influenzano significativamente l’attività vulcanica, poiché riguardano essenzialmente la terra fluida (atmosfera, mari, acque) e solo marginalmente la terra solida, in particolare gli strati superficiali”.
Tra la crosta terrestre e la superficie, dove si verificano i cambiamenti climatici, ci sono diversi chilometri di separazione. Normalmente, un vulcano presenta zone di accumulo magmatico situate al di sotto della superficie terrestre, quindi non influenzate dai cambiamenti climatici.
Dal punto di vista del monitoraggio vulcanico, i cambiamenti climatici non creano grossi problemi. Le tecniche di monitoraggio si sviluppano indipendentemente da essi. Privitera spiega che oggi, le tecnologie sono molte e promettenti, con risultati interessanti.
“Oltre ai satelliti, che non possono più essere considerati una novità, utilizziamo reti GNSS per il posizionamento satellitare e le osservazioni nel campo visibile, termico e dei raggi X. Tra le sfide più interessanti c’è l’impiego delle fibre ottiche, che, essendo solidali con il terreno in cui sono immerse, possono misurare deformazioni lente (causate dal movimento del suolo) e rapide (dovute ai terremoti). Questo consente una densità di osservazione impensabile con strumenti convenzionali, poiché sarebbe necessario gestire migliaia di strumenti, con costi elevatissimi”.
Per quanto riguarda la disponibilità d’acqua nelle aree vulcaniche e i relativi problemi legati al cambiamento climatico, bisogna distinguere due tipi di vulcani: insulari, come quelli delle isole Eolie, e continentali, come l’Etna e il Vesuvio. I vulcani insulari hanno falde acquifere inquinate dall’acqua marina e nessuna isola possiede pozzi di acqua potabile, solo acqua salmastra.
Diverso è il discorso per i vulcani continentali, che fungono da serbatoi naturali d’acqua. Più un vulcano è alto, maggiore è la sua capacità di accumulare acqua, sia quella meteorica sia quella derivante dallo scioglimento delle nevi, come accade sull’Etna. Qui, l’innevamento invernale alimenta le falde acquifere, fornendo acqua agli abitanti sotto forma di sorgenti naturali o pozzi.
Attualmente, l’Etna fornisce acqua non solo ai suoi abitanti, ma anche a diverse altre zone della Sicilia. Tuttavia, in un futuro scenario di desertificazione, questo sistema potrebbe entrare in crisi.
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