Come una storia d’amore di Nadia Terranova

Come una storia d’amore di Nadia Terranova

L’unica è raccontarsela come una storia d’amore“.

Nadia Terranova chiede alla città di Roma di prestarle la rugiada del mattino cristallizzata sugli alberi lungo i viali della capitale.

Ogni storia d’amore nasce dalla replica di uno. Cosa, persona o pensiero, il singolare è sempre sterile, in due ogni fermento è fecondo. Non è necessario alcun dialogo per riconoscere la metà assente, negli occhi dell’altro niente c’è una storia d’amore da disegnare, a partire dal doppio di uno.

Dieci racconti brevi schiudono a fiore la serratura inceppata di un comportamento inerte. Le vie della capitale chiamano barriere le strisce pedonali, stop alla parola che dura, semaforo rosso all’unico spazio felice.

Nella concitazione del movimento le corsie dispensano direzioni alle figure vaganti per le strade del proprio IO.

Tutti i personaggi di ogni singolo racconto balbettano la storia d’amore nata da malinconie, assenze e privazioni sotto i tetti di Roma, sopra l’asfalto prestato a solitudini imbarcate sulla medesima nave. Fuori dall’oblò il voto mediocre della società alza la marea dell’inquietudine, è tutto un groviglio il vortice del forse, preda della catena debole della felicità.

La Terranova sfoglia la città eterna come cartoline da spedire al suo pubblico affinché possa tradurre la nebbia in calda atmosfera, imparare a vedere il bello dove manca. La nostra storia d’amore è lì per colmare lacune di abbracci analfabeti.

Un matrimonio tra il rituale del giorno alla ricerca della felicità borghese, sarà impossibile trovarla dove non è mai stata casa, l’enorme tetto ripara meno di un ombrello, perché si ha più cura del limite pieno che di un vuoto senza misura.

Catapultati in un limbo di stranezze, la scrittrice ci accompagna per mano, mani sudate dall’ansia di leggere storie di solitudine e di mancanze, storie d’amore sospese a metà del canto.

La scrittrice avverte il tremore, ecco, sta per diventare scossa che dissesta l’interesse razionale alterandolo in profonda angoscia per l’elenco di vite sommerse.

Insieme è una bellissima forma d’amore bastevole di piccole cose distaccate dal rimpianto di nulla, sorsi e morsi di vite arrabbiate, tanta misera realtà venerata come una regina a passeggio per la capitale.

Dal riso al pianto la poesia della storia quasi d’amore incede con l’andatura di chi non si arrende al passo sbagliato, non si fa azzannare dal panico al primo drappo rosso all’improvviso schermo di ogni domani.

Roma con la sua corolla di quartieri satelliti regna sovrana sul quotidiano già stanco alle prime luci dell’alba, le ore piccole lo sorprendono sopravvissuto a se stesso grazie alla riserva di dignità con cui è saltato giù dal letto alle cinque del mattino.

La mattina di Natale “Due sorelle” chiudono la porta di casa per raggiungere Porta Maggiore. L’evasione è imposta dall’atmosfera festiva aggredita da due genitori presenti, ma coppia alla deriva. “Le indico una panchina: mettiamoci schiena contro schiena“. Le anime nude di due sorelle in fuga accendono la Luce del Natale per risorgere dalle macerie quotidiane.

C’è “La Sconosciuta”, una donna che vive nel virtuale le sue giornate reali, concentrata a spiare le vite degli altri con profili fasulli e like cliccati a caso. Nel suo universo non ha mai ricevuto luce né calore da uno pseudo sole, “La Sconosciuta” si appropria di felicità non sue, plagiata dall’invito di uno schermo a connettersi col mondo. Le amicizie pixellate colmano spazi respinti dal calore di un contatto. Con il rifiuto in tasca, il tasto “invia” inaugura l’ossessione.

In Via della Devozione abitano Teresa e Raffaele, due pensionati riconoscibili da una mappa di rughe sul viso e un passo senza forze, sorretti da un cammino instancabile a ragione di una lunga storia d’amore. L’ultima età attira la malattia come l’ape sul miele, Teresa colpita nella ragione, Raffaele vedovo di una moglie sempre al suo fianco. Insieme salgono e scendono dal marciapiede, attraversano la strada, devoti l’uno all’altra dilatano le premure a un giovane sconosciuto ucciso solo perché “diverso”. In Via della Devozione abita l’umanità incisa dentro due cerchi d’oro benedetti sull’altare.

La Roma multietnica nelle pagine di Nadia Terranova conferma la sottoscrizione di capitale del mondo. Si chiama Nilima, e ride sempre.

Nilima ride sempre con gran rumore. Socchiude gli occhi e ride. Nel retro della lavanderia dorme suo figlio, quando non va a scuola. Non l’ho mai visto giocare, a volte protesta o la chiama. Nilima ride e non smette di parlare con me. Mette le P al posto delle S, delle B, e di altre consonanti. È arrivata in Italia sei anni fa, subito dopo essersi sposata“.

L’integrazione comincia così: “La costringerò a pranzare insieme, un panino al bar di fronte, mi dirà di no e riderà fortissimo, ma insisterò e forse vincerò“. Nel sorriso gentile di Nilima, una donna trova il coraggio del cambiamento per sé e per l’immigrata circondata dall’uomo in possesso della sua libertà. Le relazioni felici bussano davanti a una tazzina di caffè galleggiante nel progetto di un futuro semplice.

L’unica è raccontarsela come una storia d’amore“. Mani giunte e ginocchia piegate, corpo in preghiera per assistere all’impotenza del cambiamento. Non ci sono soluzioni al quesito universale, il “per sempre” obbliga la recita di un copione all’attore curvato sul testo. Non è sua la colpa se la mappa dell’itinerario è andata distrutta, ha schivato la meta felice per andare incontro alla bellezza del viaggio.