Cultura

“All’incrocio dei nostri destini” di Mélissa Da Costa

Risulta sempre difficile ripetere l’ottima quotazione di un romanzo con un sequel che non mantiene la promessa. È quanto accaduto alla scrittrice francese Mélissa Da Costa, firma preziosa del romanzo “Bucaneve” (2023). L’ultimo richiamo a un fiore che sfida le intemperie della fredda stagione può non aver lasciato nessun travaglio in sospeso, esiste però un bisogno costante dell’energia emozionale che reclama un approvvigionamento in vista di un prossimo domani pianificato con il riflesso dei ricordi.

“All’incrocio dei nostri destini”: le promesse rimaste sospese

“All’incrocio dei nostri destini” completa la precedente scrittura amica dei giovani protagonisti coinvolti tutti insieme in un disagio interiore. Cinque anni dopo, il debito con la piattaforma costruita su solidi elementi di riscatto non è stato sanato. La catena imbrigliata sulla soglia del congiuntivo indeciso adesso si ritrova succube di errori o, peggio, di scelte rimandate per paura del bivio che non perdona il ritardo.

La figura di Ambre ritorna in un primo piano che fa da corolla di fresco respiro ai suoi amici a metà strada di un blocco del tempo confuso.

Anton, Rosalie, Tim e Gabriel: gli amici dispersi tra passato e presente

In “Bucaneve”, il contatto tra Anton, Rosalie, Tim e Gabriel dà forza alle assenze risolute a non tornare sui propri passi. Quali assenze e quali distruttive mancanze si ravvisano nell’assembramento di ombre ribelli alla fioritura di un cuore nato sano ma stordito nel gelido inverno?

Chi decide la sorte della felicità non ha mai meritato il potere di raggiungerla senza affanno. Ogni legame dura il tempo di sciogliere il nodo restio a diventare entità libera di volare sopra il disagio interiore.

Il dramma silenzioso di Ambre e le provocazioni di Anton

Di tanta pena nasce la sofferenza di Ambre, fatta di sole grigio sul tetto dei ricordi e di nessuna gioia in missione col suo nome. Sulla strada di ritorno delle prove di coraggio con più mani risulta impossibile non notare le reciproche distanze a un millimetro dal cuore.

Le provocazioni di Anton abbattono Ambre, poi si passa al turno di Rosalie e Gabriel, latitante come compagno e come padre di due figli, affidando a un biglietto il messaggio d’addio a pochi giorni dal Natale. E poi Tim, l’unico dei quattro amici a non aver lasciato il segno su quella baita di Arvieux, il piccolo paese delle Alpi francesi.

“All’incrocio dei nostri destini”: il ritorno all’Hotel Les Mélèzes e ai ricordi di cinque anni fa

Cosa ne è stato di quell’inverno passato all’hotel Les Mélèzes? Sarà complicato riallacciare i fili interrotti, ma provarci ne varrà la pena. La scossa improvvisa indietro di cinque anni scuote la polvere addormentata per caso, mai per causa di meschina volontà.

«Ambre non ebbe il tempo di misurare tutto il senso d’angoscia racchiuso in quell’ultima frase perché si stavano avvicinando a Tim e ai bambini e le si attorcigliò lo stomaco. Era cambiato moltissimo dall’ultima volta che l’aveva visto, nell’appartamento di Frontignan dove morivano di caldo. Sembrava più vecchio, più adulto. Anche più serio. Eppure indossava ancora una delle sue eterne felpe con il cappuccio. E aveva ancora i capelli castani spettinati… Non aveva più lo sguardo da bambino. Gli ultimi anni glielo avevano cancellato».

Vent’anni non li hanno più, ma i giorni maturi non hanno faticato abbastanza. Tra di loro c’è ancora qualche fantasma vandalo di giovani vite.

“All’incrocio dei nostri destini”: ritrovare l’amicizia perduta per superare il dolore invisibile

Mentre Gabriel ancora non si riesce a rintracciare, i quattro amici sono subito sommersi dai ricordi legati a quella stagione invernale passata all’hotel Les Mélèzes, quando ognuno di loro aveva trovato negli altri una nuova prospettiva e nuove energie per riprendere in mano la propria, disordinata vita.

Oggi hanno solo qualche anno in più e credono di essere adulti, ma è ancora tutto da costruire. Riallacciare i rapporti dopo così tanto tempo sarà allora un tuffo necessario a superare la distesa dei risentimenti, di tutti quei dolori rimasti invisibili per smettere di piangere i fantasmi e recuperare fiato. Guardarsi in faccia e dirsi che sì, siamo sempre stati qui, ed è da qui che la vita riparte.

La rinascita impossibile e il coraggio del Bucaneve

Loro sono ancora qui e sono tutti responsabili delle energie dilapidate in cambio di un futuro stanco di rimandare la ripartenza, come non avrebbe mai fatto un “Bucaneve” sulla coperta di neve.

Ancora una volta diritto e privilegio dell’incompiuto vengono lasciati in mano al tempo miope di nuovo tempo, stavolta con la consapevolezza di essere stato assente al primo turno. L’impietosa voragine dentro cui è caduta uno dei quattro, in questo caso Rosalie, basta a far saltare dalla sedia, dal letto o da qualsiasi altro porto sicuro la memoria del senso sospeso dell’amicizia.

Del resto si sa, il “Bucaneve” fiorisce soprattutto per colui che resta in ginocchio ad ammirare il coraggio, magari rubarne un po’ e poi portare a casa la rinascita in bellezza nonostante tutto.

Il peso delle paure e il fallimento di una promessa

Cosa ne è stato di un tempo nato e appassito per i sensi di colpa? Troppe paure hanno impedito il passo in avanti adesso cristallizzato nel dubbio di chi si è fidato della promessa intorno a una stufa a legna. Appena spento il fuoco si ritorna a fare i conti con l’imprevedibile sempre pronto all’assalto.

Quattro ragazzi cercavano di salvarsi con la maturità della vita adulta e invece hanno recitato male il copione di un “Bucaneve” delle Alpi francesi. Nel tempo della condivisione, il virtuosismo dei sentimenti ha accumulato forze che, da solo, il protagonista isola di se stesso non ha più saputo dove cercare né dove trovare.

Sara D'Angelo

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