Cronaca

Videochiamava i familiari delle vittime per farli assistere alle torture: arrestato bangladese a Ragusa

RAGUSA – Arrestato bangladese per tortura e riduzione in schiavitù. Su mandato della Procura della Repubblica di Catania — Direzione Distrettuale Antimafia, la Squadra Mobile di Ragusa ha eseguito un’ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti di A.A., cittadino bangladese di 25 anni, accusato di essere parte di un’organizzazione criminale internazionale dedita alla riduzione in schiavitù, alla tortura e al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina.

Arrestato bangladese: i fatti

L’indagato, fermo restando il principio di presunzione d’innocenza, è ritenuto responsabile di crimini commessi in Libia, tra cui torture e sequestri di persona a scopo di estorsione ai danni di un connazionale.

Le indagini hanno avuto origine il 15 luglio 2024, quando la Polizia Giudiziaria lo ha fermato per associazione a delinquere finalizzata al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina.

Arrestato bangladese: la testimonianza di una vittima

Una delle vittime, imprigionata per mesi in Libia e sottoposta a torture disumane, era riuscita a raggiungere l’Italia solo dopo che i familiari in Bangladesh avevano pagato somme ingenti per la sua liberazione.

La vittima, arrivata all’hotspot di Pozzallo, si è ritrovata nuovamente di fronte al suo aguzzino, anch’egli giunto in Italia tramite un diverso sbarco. Terrorizzata, la vittima ha denunciato quanto subito alle autorità dell’hotspot, dando avvio alle indagini.

Le investigazioni, coordinate dalla Direzione Distrettuale Antimafia e condotte dalla Squadra Mobile di Ragusa, hanno svelato un’organizzazione criminale con basi in Libia, Bangladesh e Italia.

L’indagato avrebbe ricoperto un ruolo di primo piano come torturatore e sequestratore, costringendo i familiari delle vittime a pagare enormi somme di denaro per ottenere la liberazione dei propri cari.

Le videochiamate ai familiari

Secondo le indagini, l’accusato utilizzava videochiamate per mostrare scene di torture di inumana violenza inflitte alle vittime e per minacciare ulteriori abusi se le richieste economiche non fossero state soddisfatte.

File audio, video e fotografie acquisiti durante le indagini documentano le torture e i pagamenti effettuati dai familiari delle vittime.

Al momento della denuncia, la vittima presentava numerose cicatrici sul corpo, segni indelebili delle torture subite durante la prigionia in Libia. Questi elementi hanno fornito ulteriore conferma delle accuse a carico dell’indagato.

I provvedimenti presi

Dato che i reati sono stati commessi all’estero da un cittadino straniero, il Ministro della Giustizia ha autorizzato la giurisdizione italiana. Successivamente, la Direzione Distrettuale Antimafia ha richiesto e ottenuto dal GIP l’applicazione della misura cautelare in carcere per i gravi reati contestati.

L’indagine prosegue per individuare ulteriori responsabili e fare piena luce sul funzionamento del network criminale internazionale.

Redazione

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