“Quer pasticciaccio brutto de via Merulana” di Carlo Emilio Gadda

“Quer pasticciaccio brutto de via Merulana” di Carlo Emilio Gadda

È un assoluto capolavoro della nostra letteratura, ma, a torto, non tra i più letti e farne a meno è davvero un peccato mortale, per questo eccomi qua a parlarvi di Quer pasticciaccio brutto de via Merulana. Ambientato nella Roma fascista del 1927, sembra seguire una trama gialla, una classica indagine per un furto di gioielli, che si aggrava con un omicidio, nello stesso scenario di via Merulana al civico 219. Incaricato dell’investigazione è “Don CiccioIngravallo, commissario della Squadra Mobile di Polizia.

Ma fin dall’inizio comprendi che non c’è nulla di ordinario in questo romanzo e che questo tema apparente nasconde in realtà una rappresentazione di un’epoca caotica, oscura, intricata, tragica, densa di retorica e ridicola al contempo. Ed ecco allora che la vicenda poliziesca è destinata a non risolversi mai del tutto (ci saranno diversi finali per ogni redazione) e che non può esserci un vero protagonista, ma solo centinaia di personaggi secondari. Sono tutte figure degne di entrare a teatro, ma non di diventarne gli attori principali, perché incomplete, piccine, risibili figlie del Predappiofesso, ovvero Mussolini, come lo stesso don Ciccio, i funzionari, il dottor Fumi, il maresciallo Pietrantonio, il brigadiere Pestalozzi, il cui celebre sogno si merita uno sguardo a parte, la contessa Menegazzi (detta dai più Menegacci, Menecacci, Menegatti), il commendator Angeloni prosciuttofilo, come anche le domestiche, i nipoti e persino la canina pechinese Lulù… Dopo la Divina Commedia dantesca, la Commedia umana di Boccaccio, Gadda inaugura la Commedia delle comparse.
Trovare, quindi, uno stile per questo groviglio sociale, politico, emozionale è la vera sfida gaddiana.

Aveva veduto nel sonno, o sognato… che diavolo era stato capace di sognare?… uno strano essere: un pazzo: un topazzo. Aveva sognato un topazio: che cos’è, infine un topazio? Un vetro sfaccettato, una specie di fanale giallo, che ingrossava, ingrandiva d’attimo in attimo fino ad essere poi subito un girasole, un disco maligno che gli sfuggiva rotolando innanzi e pressoché al di sotto della ruota della macchina, per muta magia. La marchesa lo voleva lei, il topazio, era sbronza, strillava e minacciava, pestava i piedi, la faccia stranita in un pallore diceva delle porcherie in veneziano, o in un dialetto spagnolo, più probabile. Aveva fatto una cazziata al generale Rebaudengo perché i suoi carabinieri non erano buoni a raggiungerlo su nessuna strada o stradazia, il topazio maledetto, il giallazio. Tantoché al passaggio a livello di Casal Bruciato il vetrone girasole… per fil a dest! E’ s’era involato lungo le rotaie cangiando sua figura in topaccio e ridarellava topo-topo-topo-topo […]“.

La sua scrittura si avvita intorno ad un elemento lessicale, spesso mutuato dal dialetto romanesco (ma non mancano esempi dal greco, dal latino, dal francese… ad indicare che la star è la parola), conducendo attraverso assonanze (pazzo-topazzo-topazio) alla creazione di contesti (topazio=fanale giallo di un treno, ma anche girasole o disco maligno) che diventano storie, onirismo (con le urla della marchesa che vuole il topazio, tutt’uno con quelle del generale contro i suoi uomini che non trovano la strada-stradazia-topazio-giallazio).

In questo la parola è metamorfosi quasi kafkiana, nei modi, ma non nei toni sarcastici (il generale si trasforma in topaccio) e realizza onomatopee di contesti da essa stessi creati (il suono del treno con topo-topo-topo-topo).