La vicenda giudiziaria di Totò “vasa vasa”

PALERMO – Il 26 giugno 2003 Totò Cuffaro, al suo primo mandato come presidente della regione siciliana, entra nel registro degli indagati nell’ambito dell’inchiesta sui rapporti tra il clan di Brancaccio e certi ambienti della politica locale.

L’indagine vede nomi illustri del panorama politico siciliano: oltre al presidente Cuffaro, sono coinvolti l’ex assessore comunale di Palermo, Domenico Miceli, anch’egli dell’Udc, i medici Salvatore Aragona e Vincenzo Greco, e Francesco Buscemi, imprenditore, già segretario dell’ex sindaco di Palermo Vito Ciancimino.

Secondo i giudici  attraverso Antonio Borzacchelli e Domenico Miceli (detto Mimmo, precedentemente assessore alla Sanità al Comune di Palermo e molto legato a Cuffaro) e grazie alle talpe presenti nella direzione distrettuale antimafia di Palermo, Cuffaro ha informato il boss Giuseppe Guttadauro, boss mafioso ed esponente di spicco del clan di Brancaccio e Michele Aiello, importante imprenditore siciliano nel settore della sanità, indagato per associazione mafiosa e divulgazione di notizie riservate legate alle indagini in corso.

Nel settembre del 2005, Cuffaro è rinviato a giudizio per favoreggiamento aggravato alla mafia e rivelazione di notizie coperte da segreto istruttorio: ha fornito all’imprenditore Aiello informazioni fondamentali per sviare le indagini, grazie a una fonte non ancora nota, incontrandolo da solo in circostanze sospette, riferendo che le due talpe che gli fornivano informazioni sulle indagini che lo riguardavano erano state scoperte. Nell’incontro, anche una discussione riguardante l’approvazione del tariffario regionale da applicarsi alle società di diagnosi medica posseduta dall’imprenditore. Aiello ha ammesso entrambi i fatti, Cuffaro afferma soltanto che si sia discusso delle tariffe.

Il gup ipotizza, inoltre, che Guttadauro sia venuto a conoscenza da Cuffaro stesso delle microspie come confermato dalle testimonianze secondo le quali la moglie del boss mafioso ha dato merito all’ex governatore del ritrovamento.

Il 18 gennaio 2008 Cuffaro viene dichiarato colpevole di favoreggiamento semplice nel processo di primo grado per le ‘talpe’ alla Dda di Palermo. La sentenza di primo grado condanna Cuffaro a 5 anni di reclusione nonché all’interdizione perpetua dai pubblici uffici.

Cuffaro assiste alla lettura della sentenza nell’aula bunker di Pagliarelli e dichiara immediatamente di non essere intenzionato ad abbandonare il suo ruolo di presidente della Regione Siciliana: “Sono confortato, non sono colluso con la mafia e per questo resto presidente della Regione Da domani torno al lavoro” dichiara dopo la sentenza.

Imperdonabile lo scivolone mediatico in quell’occasione: il vassoio di cannoli.

Festeggiamenti sempre negati da Cuffaro: “Tutti sanno che non stavo festeggiando. Non ero certo un fesso“.

Il 24 gennaio 2008 l’assemblea regionale siciliana respinge la mozione di sfiducia ma nonostante il voto di fiducia del Parlamento siciliano, Cuffaro si dimette due giorni dopo, nel corso di una seduta straordinaria dell’assemblea.

Il processo d’appello inizia il 15 maggio 2009: è accusato dal pentito di mafia Massimo Ciancimino (figlio dell’ex sindaco mafioso Vito Ciancimino) di aver intascato tangenti e per questo, iscritto nel registro degli indagati della Dda di Palermo per concorso in corruzione aggravata dal favoreggiamento di Cosa Nostra.

Nell’ottobre del 2009 il pentito Gaspare Romano, imprenditore condannato per aver favoreggiato Giovanni Brusca, accusa Cuffaro di aver partecipato ad un pranzo con i mafiosi Santino Di Matteo, uno degli assassini di Giovanni Falcone, ed Emanuele Brusca, fratello di Giovanni. Alle dichiarazioni di Romano, tuttavia, non fecero seguito riscontri.

Il 22 gennaio 2011 la Corte di Cassazione conferma in via definitiva la condanna 7 anni di reclusione inflittagli l’anno prima dalla Corte di Appello di Palermo, nonostante la richiesta di eliminazione dell’aggravante mafiosa da parte del procuratore generale.

Il successivo 2 febbraio il Senato della Repubblica accoglie le sue dimissioni da parlamentare con 230 voti favorevoli, 25 contrari e 17 astenuti.

Nelle motivazioni della sentenza i Giudici della Cassazione dichiarano provato l’accordo politico-mafioso tra il capo-mandamento Giuseppe Guttadauro e l’uomo politico Salvatore Cuffaro, e la consapevolezza di quest’ultimo di agevolare l’associazione mafiosa, inserendo nella lista elettorale per le elezioni siciliane del 2001 persone gradite ai boss e rivelando, in più occasioni, a personaggi mafiosi l’esistenza di indagini in corso nei loro confronti.

Domani tornerà libero, dopo aver scontato cinque anni dei sette previsti, per buona condotta.