“Sblocca Italia” o “blocca Sicilia”?

“Sblocca Italia” o “blocca Sicilia”?

PALERMO – Era stato atteso con impazienza il decreto “Sblocca Italia” del governo Renzi. L’impazienza ha lasciato, però, ben presto spazio alla disillusione. La Sicilia, povera di infrastrutture da tempo immemore, sperava nell’azione del premier rottamatore per un rilancio economico ma, a quanto emerge negli ultimi giorni, nell’isola non arriveranno nuovi finanziamenti.

Il decreto velocizzerà l’iter burocratico di alcune opere, ma non porterà nulla di nuovo sul banco delle infrastrutture. I progetti che saranno interessati dall’azione governativa sono la velocizzazione della linea ferrata Palermo – Messina – Catania, per un totale di cinque miliardi di euro ma finanziata solo in parte, e altre 94 opere per un miliardo e 150 mila euro. Queste ultime sono prevalentemente opere fognarie e di depurazione.

L’Ance, l’associazione dei costruttori edili, è stata critica sin dalla prima ora. “E’ solo un primo segnale ha spiegato il presidente Salvo Ferlitoma serve a ben poco per un settore che in due anni in Sicilia ha perso 80 mila posti di lavoro”. Per l’esponente dei costruttori i problemi maggiori vanno ricercati nella lentezza delle procedure per le gare d’appalto, i mancati controlli per i ribassi anomali e centinaia di piccoli e grandi cantieri fermi da anni che attendono ossigeno.

Quindi l’unica cartina di tornasole per verificare gli effetti dello “Sblocca Italia” è la ferrovia veloce che dovrebbe collegare le tre città principali dell’isola. L’obiettivo è far partire i cantieri entro il prossimo anno con un anticipo di due anni sulla road map prevista. In questi lavori rientrerà anche il nodo ferroviario di Palermo, il passante da un miliardo e 100 milioni di euro, la velocizzazione della Catania – Palermo e una serie di interventi sulla Palermo – Messina e sulla Messina – Siracusa.

Altri progetti da mandare avanti sono il nodo di Catania con l’interramento della ferrovia per consentire l’allungamento della pista dell’aeroporto e il raddoppio della linea Giampilieri – Fiumefreddo lungo la tratta Messina – Catania.

Ma ci sono delle opere in lista d’attesa per sostituirne altre dello “Sblocca Italia” che non dovrebbero rispettare i tempi di consegna previsti. Tra queste la Circumetnea, la metro etnea sino all’aeroporto, l’anello ferroviario del capoluogo palermitano dal Politeama sino a Notarbartolo e la metropolitana leggera.

Oltre alle critiche dell’Ance sono arrivate quelle, politiche, di Marco Falcone, capogruppo di Fi all’Ars.

“Lo Sblocca Italiaha dichiaratonon prevede nuove risorse per finanziare lavori. È il solito provvedimento renziano del ‘far presto’ che rischia di far perdere alla sola Sicilia milioni di euro”.
Il deputato regionale, in particolare, contesta i termini di presentazione di progetti cantierabili fissati dal documento approvato dal governo di Matteo Renzi che scadono il prossimo 30 settembre e che, se fossero disattesi, prevedono il commissariamento delle opere previste.

“E’ un documento truffa – ha attaccato Falcone – con termini assolutamente irragionevoli, basti pensare che sull’isola, su 94 cantieri finanziati appena una decina potranno realmente partire perché provvisti di progetti esecutivi”.

L’Ance ha fatto i conti in tasca alla Regione spiegando che “il governo ha tolto alla Sicilia circa 400 milioni di euro di finanziamenti”. I costruttori puntano il dito sui mancati sostegni a opere importanti come la statale Bronte – Adrano, la Trapani – Mazara del Vallo e la San Gregorio – Siracusa.

Altra manovra del premier Renzi che ha suscitato un vespaio di polemiche in Sicilia è la riapertura allo sfruttamento delle risorse petrolifere regionali. Secondo Legambiente in Sicilia vengono estratte 301,471 tonnellate di petrolio, circa il 40% del totale a livello nazionale: per gli ambientalisti c’è il rischio di una corsa all’oro nero che potrebbe portare danni incalcolabili all’ecosistema.

Il governo, dunque, ha intenzione di rimuovere gli ostacoli burocratici per le compagnie petrolifere sperando di incassare ricche royalties e promesse di investimenti infrastrutturali. L’affaire del petrolio è totalmente in mano allo Stato perché le Regioni non hanno il potere di rilasciare licenze per le estrazioni degli idrocarburi in mare e le tasse vengono incassate direttamente da Roma, lasciando una parte residuale agli enti locali.

Per la Sicilia si parla di un giro d’affari che porterebbe circa 20 milioni di euro all’anno. Sulla vicenda si è espresso anche il coordinatore nazionale di Green Italia Fabio Granata: “A qualcuno non e’ bastato il disastro industriale degli anni 60 e 70 che ha seminato devastazione e morte e vuole perpetuare quel modello, tornando alle ricerche petrolifere e a una economia basata sul fossile”.

“Ma la Siciliaha attaccato Granatanon è un hub petrolifero e Renzi e Crocetta troveranno ben altro che comitati locali sulla loro strada: esiste una Sicilia che ha puntato sul turismo di qualità, sulla cultura, sulle rinnovabili e sull’agricoltura che non intende farsi nuovamente demolire in nome di interessi economici legati alle multinazionali del petrolio”.

Foto Flickr Palazzo Chigi cc license