Province mascherate da liberi consorzi? Il flop di Crocetta che spacca l’Ars: cosa non ha funzionato

Province mascherate da liberi consorzi? Il flop di Crocetta che spacca l’Ars: cosa non ha funzionato

PALERMO – Fare un progetto per migliorare la condizione economica e politica della regione, sostituire le province con liberi consorzi e città metropolitane: un’idea messa in pratica dall’attuale governatore siciliano, Rosario Crocetta, che oggi si è rivelata decisamente fallimentare.

Era il 2013, infatti, quando Crocetta cancellò le province, bloccò le elezioni e inviò i propri commissari per creare quelli che sarebbero stati dei nuovi enti solo tre anni più tardi: ci sono voluti 1.095 giorni per approvare la riforma dei liberi consorzi (in totale sei: Trapani, Enna, Agrigento, Siracusa, Caltanissetta e Ragusa) e delle tre città metropolitane (Palermo, Catania e Messina) all’Assemblea Regionale Siciliana.

La riforma ha compreso, per i liberi consorzi, l’elezione di un sindaco del territorio e gli altri sindaci delle province facenti parte del consiglio comunale. Per le città metropolitane, invece, la situazione dei sindaci è rimasta immutata. Cos’è che non ha funzionato?

A spiegarlo è stata la sezione di controllo della Corte dei Conti, in una nota di metà luglio: “L’intensificarsi dell’emergenza finanziaria, il marcato ridimensionamento dei budget di spesa ha ridotto al minimo l’attività istituzionale svolta dai liberi Consorzi nei confronti sia degli altri livelli di governo che, soprattutto, dei fruitori dei servizi pubblici. Hanno risentito particolarmente i servizi per i disabili e quelli di supporto alle scuole di secondo grado; nei casi più gravi, si segnalano situazioni di notevole arretrato nel pagamento degli stipendi”.

Una situazione disastrata che non ha giovato ai cittadini. Tra l’altro, è stato richiesto il cambiamento dalla situazione attuale, cioè quella commissariale, per garantire una corretta continuità istituzionale. Sempre la Corte dei Conti ha manifestato il proprio dissenso alla riforma, dichiarando che le province non sono mai state abolite e che le funzioni affidate agli enti intermedi sono addirittura aumentate.

Un esempio recente è quanto accaduto a Siracusa, dove il concetto di libero consorzio non ha funzionato: gli stipendi dei dipendenti dell’ex Provincia tardano ad arrivare e sono stati fatti diversi sit in di protesta contro il governo regionale. Eppure, Bruno Marziano, assessore regionale all’Istruzione e alla Formazione professionale, ha annunciato che l’incontro di Palermo con il presidente Crocetta è stato più positivo del previsto e che le erogazioni arriveranno il prima possibile “per superare la crisi“.

I cittadini dovranno tornare al voto e si è pensato di far “resuscitare” le vecchie province siciliane. All’Ars, però, in molti vogliono vederci chiaro prima di approvare qualsiasi legge che vada contro ai liberi consorzi: in primis il presidente di Palazzo dei Normanni, Giovanni Ardizzone, che chiede un ulteriore approfondimento della questione in modo da non fare altri passi falsi.

Hanno accolto il suo appello anche Leoluca Orlando e Mario Emanuele Alvano, rispettivamente presidente e segretario generale dell’associazione Anci. Le tante modifiche normative, secondo i due, sono state il timbro dell’attuale legislatura e per questo ci sarebbe bisogno di agire con cautela. Da analizzare capillarmente, inoltre, il quadro delle risorse finanziarie per capire quali funzioni potranno svolgere le ex province.

Contraria, invece, l’ala del Movimento 5 Stelle. A metterci la faccia è stato Giancarlo Cancelleri, candidato alla presidenza regionale: il suo è stato un intervento tutt’altro a favore della sobrietà e della cautela, anzi. Sarebbe necessario abolire subito le ex province “senza se e senza ma per non tornare ai problemi che le hanno caratterizzate, come i gettoni di presenza dei consiglieri comunali. Inoltre, il M5S avrebbe già scritto una legge per “l’abolizione delle province, la salvaguardia dei dipendenti e la rivitalizzazione dei servizi a disposizione del cittadino”.

Nelle prossime settimane si saprà di più: certo è, però, che si tratta di un altro pasticcio del governo siciliano.