Sicuramente il guanto di sfida, lanciato con euforia dal Piemme Nino Di Matteo, non è cosa da poco e la questione, sulla richiesta “Occorre il Pentito di Stato”, merita di essere ripresa e approfondita.
Dopo la grande “Satisfaction” conquistata con la sentenza di condanna espressa, a seguito di 5 anni di lungaggini e impedimenti processuali sulla Trattativa Stato-Mafia per Servitori dello Stato e per giunta in “divisa”, in magna pars, ed anche per politici, la necessità della figura del “Pentito di Stato” non è una cosa insignificante, ma sicuramente da tenere in seria e concreta considerazione.
“Ma di che cosa stiamo parlando?”, potrebbe dire qualcuno, visto che neanche il Consiglio Superiore della Magistratura e l’ ANM, Organo di tutela dei Magistrati, hanno avuto il coraggio di complimentarsi con lo Staff degli Operatori di Giustizia, protagonisti dello storico “Evento giudiziario”, anche se di primo grado.
Stiamo parlando, chiaramente, della idea del dottor Di Matteo intesa a voler inserire nell’ingarbugliato e tanto discusso “Albo dei Pentiti” anche la versione “di Stato”.
Parliamo, dunque, della proposta di incrementare l’albo professionale(?) dei Pentiti che va dal Pentito di Mafia, al collaboratore di Giustizia (nel vocabolario mafioso, soprannominato “u cantanti”).
In termini più chiari a cosa vorrebbe arrivare, il Nino palermitano, piemme di ferro? Semplice non ci vuole granché a capirlo e cioè: proporre la necessità di un disegno di legge pronto ad inserire la figura del “Pentito di Stato” nel codice penale e nei regolamenti di ordine procedurale, per facilitare indagini e non solo per la cattura di componenti ed affiliati alla mafia, ma anche per componenti ed affiliati dello Stato che tramano contro; tipo politici ed uomini delle Istituzioni che spesso, per coprire qualcuno più in alto sono pronti a compiere gravi omissioni nel corso delle attività istituzionali (vedi ad esempio la mancata perquisizione dell’ abitazione di Riina, subito dopo la sua cattura e ancora la sparizione della famosa agenda rossa di Borsellino dopo l’attentato di via D’Amelio); o per il “vile dio denaro”, ancora uomini dello Stato, pronti e del tutto disponibili a tradire la propria dichiarazione di fedeltà alla Patria. Sì, forse molti l’hanno dimenticato che quando una persona assume un incarico pubblico, sia di tipo civile, sia politico o, ancora più grave, quello militare, presta una formale (e non informale) promessa di servire la Repubblica Italiana, al grido “Lo Giuro”. La citazione dell’atto di fedeltà potrebbe apparire anche “roba d’altri tempi” ma, purtroppo per loro, non è cambiato nulla.
“Si … ca ora i politici vanno a votare una legge che potrebbe diventare pericolosa per loro stessi e finire di chiuririsi i cabbasisi ’nta cascia?”.
Una domanda del genere, sarebbe possibile poterla sentire e non solo in Sicilia, ancora la politica del “Muru vasciu” non ci lascia scampo. Alla prossima.