SANTA FLAVIA – Dopo decenni di oblio, torna al suo antico splendore il maestoso baldacchino monumentale della basilica soluntina di Sant’Anna, a Santa Flavia. Si sono conclusi i lavori di restauro finanziati dall’assessorato regionale dei Beni culturali e realizzati dalla ditta Comes di Catania, su progetto curato dalla Soprintendenza di Palermo. Un intervento dal valore complessivo di oltre 132mila euro, suddiviso in due lotti, che restituisce alla collettività un’opera unica nel suo genere.
“Ogni volta che restituiamo un bene alla comunità – ha dichiarato l’assessore regionale Francesco Paolo Scarpinato – compiamo un gesto che preserva la memoria e l’identità di un luogo. Salvaguardare opere di valore dall’usura del tempo significa custodire le nostre radici e trasmettere cultura alle future generazioni”.
L’intervento sul baldacchino monumentale a Santa Flavia
Il restauro ha previsto inizialmente il consolidamento statico della struttura, minacciata da attacchi di termiti e insetti xilofagi che ne avevano compromesso la stabilità. Si è poi proceduto con la riconfigurazione plastica delle parti mancanti e il riposizionamento degli elementi decorativi staccatisi nel tempo. Un secondo progetto ha invece permesso il completamento dell’intervento sul piano estetico: rimozione degli scialbi, reintegrazione cromatica, recupero delle dorature e delle finte venature marmoree, restituendo l’originaria eleganza settecentesca all’opera.
Un’opera rara nel territorio
Il baldacchino, realizzato alla fine del XVIII secolo, è frutto della collaborazione tra il maestro lignario Domenico Di Stefano e il decoratore Antonio Pellegrino, su un’ideazione attribuita all’architetto Antonio Interguglielmi. Sebbene costruito in legno, l’uso raffinato di laccature e dorature simula con grande verosimiglianza materiali nobili come marmo e bronzo dorato. L’impostazione architettonica richiama, seppur a distanza, il celebre baldacchino di Gian Lorenzo Bernini nella Basilica di San Pietro.
Nel primo Novecento, un intervento maldestro ne aveva celato l’apparato decorativo sotto una pesante cementite industriale, probabilmente per ragioni conservative o per conferirgli maggiore sobrietà. Il restauro odierno, invece, restituisce dignità a uno dei capolavori del patrimonio artistico siciliano.