PALERMO – Una fiamma che distrugge e rigenera, diventando simbolo della contemporaneità che prende per mano la tradizione. Il folklore, il popolo, le origini. Il “focu ‘ranni” che arde nel petto dei siciliani, protagonisti di una delle tracce del nuovo lavoro discografico di Rosalìa, celebre artista spagnola che – nel suo ultimo album, intitolato “Lux” – ha riservato un ruolo di rilievo alla lingua che da sempre in Sicilia rappresenta un vero e proprio ponte tra generazioni.
Il dialetto siciliano, che quotidianamente prende vita tra i vicoli, in famiglia o nei dialoghi più “accesi” e per così dire caratteristici, rappresenta una novità assoluta nel panorama musicale internazionale. A rendersi autrice di questo”azzardo” musicale è proprio l’omonima della “Santuzza” di Palermo. Rosalìa, cantautrice, produttrice discografica e attrice, ha scelto di inserire nel suo ultimo progetto, costituito da 15 brani in digitale, anche 3 tracce riservate solamente a chi sceglie di acquistarne la versione fisica. È in questa seconda categoria, più di nicchia, che rientra il pezzo in siciliano, dal titolo “Focu ‘ranni” e dedicato alla Patrona del capoluogo.
“Tu
‘U me focu ‘ranni
Mi jittaiu ‘nt’a lu nenti
Pi nun perdiri ‘a libbirtà
E l’amure senza liggi
È l’unicu ch’accittassi
Mi jettu ‘nt’a lu nenti
Prima d’abbruciarmi“
La Santuzza di Palermo che disse “no” al promesso sposo
Ed è proprio alla storia di Santa Rosalia, vissuta nel XII secolo, che il giovane volto catalano ha deciso di ispirarsi, tenendo presente il vissuto della sua Omonima, riuscita a dire “no” a un matrimonio dettato da un indesiderato accordo piuttosto che da un reale sentimento. Una scelta che le è costata la possibilità di vivere alla luce del sole, ma che le ha consentito di non chinare la testa nemmeno dinnanzi alla volontà della famiglia, pronta a darla in sposa senza tenere in considerazione il suo volere.
“Ho scoperto la storia di Santa Rosalia di Palermo”, ha raccontato l’artista a Billboard. “Avrebbe dovuto sposarsi, ma poi decise di non farlo e di dedicare la sua vita a Dio. È stato qualcosa di molto potente. Ho fatto delle ricerche, ed è per questo che in quella canzone c’è un po’ di siciliano. È stata una sfida cantare in quella lingua, ma sono grata che questo brano esista”.
Colei che poi sarebbe diventata Patrona di Palermo era una nobile di nome Rosaria Sinibaldi. Nacque in Sicilia, in una delle famiglie più importanti dell’epoca. Figlia del conte Sinibaldo Sinibaldi e di Maria Guiscardi, crebbe nella corte del re Ruggero II, fino a diventare damigella d’onore della regina Sibilla. Una volta cresciuta, fu promessa in sposa al nobile Baldovino, che chiese la sua mano. Il giorno prima delle nozze però, Rosalia vide l’effige di Gesù in un uno specchio. Un evento che la indusse a presentarsi l’indomani alla corte con le trecce tagliate, annunciando la sua volontà di non sposarsi per dedicarsi invece alla fede che fin da piccola l’aveva legata al Signore. Dopo decise di lasciare il palazzo per poi andare a nascondersi in una grotta – dove visse tutta la vita – con l’obiettivo di sfuggire al promesso sposo Baldovino che non intendeva rassegnarsi al rifiuto ricevuto. Rosalia morì poi in un’altra grotta, dove trascorse i suoi ultimi giorni di vita.
Dal reggaeton al canto lirico
La storia di chi sceglie la libertà, in nome dell’amore sincero e autentico, è la stessa che la Rosalìa nata a Barcellona ha scelto di raccontare in “Focu ‘ranni”, che nell’ultima strofa la vede approcciarsi al siciliano. Eppure non è questa l’unica sfida linguistica affrontata dalla cantautrice, penna e voce di un album formato da brani cantati in ben 13 lingue diverse, tra cui anche spagnolo, inglese, italiano, francese, ebraico, cinese e ucraino.
Un vero e proprio “cambio di rotta” rispetto ai suoi dischi precedenti, noti per un’impronta prevalentemente urban e reggaeton. Generi su cui “Lux” ha fatto calare il sipario, facendo entrare in scena invece la musica classica e il canto lirico, senza però trascurare elementi riconducibili al flamenco, al pop e nemmeno alle sonorità arabe. Un viaggio complesso e articolato, dal sapore innovativo, che accompagna gli ascoltatori nella scoperta di diversi temi – tra cui religiosità, spiritualità, libertà e misticismo – divisi in quattro “movimenti” che rappresentano la struttura dell’album.
Il dialetto che rende il mondo una “piccola grande Sicilia”
Una scelta coraggiosa dunque – ma incredibilmente centrata – quella di affacciarsi al popolare perché, come ricorda Leopardi nello Zibaldone, “la vera arte degl’inventori di musica (..) si manifesta ed ha luogo quando le loro melodie son tali che il popolo e generalmente tutti gli uditori ne siano colpiti e maravigliati come di melodia nuova“. E sebbene il dialetto siciliano nuovo sicuramente non sia, a renderlo tale è lo stupore di chi, dalla Catalogna o da qualsiasi altra parte del mondo, vi si approccia per la prima volta, sperimentando – fosse anche solo per i pochi minuti offerti dal brano – l’inconfondibile atmosfera che solo la nostra “piccola grande Sicilia” può regalare.




