PALERMO – La corte d’Assise di Caltanissetta non fa sconti sul caso della strage di via D’Amelio. In una motivazione lunga 1865 pagine, depositata nel tardo pomeriggio di sabato, punta il dito contro i servitori infedeli dello Stato.
Gli uomini dello Stato chiamati in causa sono alcuni investigatori del gruppo Falcone e Borsellino, che avrebbero dovuto scoprire i responsabili delle bombe, ma che invece costruirono a tavolino alcuni falsi pentiti.
I giudici della corte d’assise lo definiscono, infatti, come “uno dei più gravi depistaggi della storia giudiziaria italiana”. Diverse le tappe importanti di questo processo. Il 20 aprile del 2017, sono stati condannati all’ergastolo per strage Salvino Madonia e Vittorio Tutino, e a 10 anni per calunnia Francesco Andriotta e Calogero Pulci, finti collaboratori di giustizia usati per inscenare una ricostruzione a tavolino delle fasi esecutive della strage costata l’ergastolo a sette innocenti.
Invece, per il più discusso dei falsi pentiti, Vincenzo Scarantino, hanno dichiarato la prescrizione e gli hanno concesso l’attenuante per chi viene indotto da altri a fare qualcosa.
Parole dure, dunque, verso il gruppo che indagava sulle stragi del ’92 guidato da Arnaldo la Barbera, funzionario di polizia poi morto. Sembrerebbe che siano stati loro a indirizzare l’inchiesta e a costringere Scarantino a raccontare una falsa versione della fase esecutiva dell’attentato.
Sono diversi i motivi per cui si pensa sia stato messo a punto questo piano. Una delle ipotesi avanzate riguarda la copertura della presenza di fonti rimaste occulte, che emerge dal fatto che i finti collaboratori erano a conoscenza di informazioni che difficilmente potevano sapere, ma che in seguito si sono rivelate vere.
Un’altra, invece, fa riferimento all’occultamento della responsabilità di altri soggetti per la strage, in quanto vi erano degli interessi tra Cosa Nostra e altri centri di potere, che vedevano pericolose le azioni del magistrato.
Inoltre, hanno cercato di far luce sull’agenda rossa del giudice Paolo Borsellino, sparita dal luogo dell’attentato. Secondo la corte, un ruolo importante è stato ricoperto da La Barbera, che è emerso dalla sua reazione di inaudita aggressività nei confronti di Lucia Borsellino, la quale cerca la verità sulla morte del padre.
Ci sarà un processo per il depistaggio nelle indagini di via D’Amelio. Infatti, una nuova inchiesta è già in fase avanzata e riguarda i poliziotti che facevano parte del pool di La Barbera.