ALTAVILLA MILICIA – È stata sentita dalla procuratrice Claudia Caramanna, Sabrina Fina, una delle persone accusate della strage familiare di Altavilla Milicia.
“Non ho fatto nulla alla figlia di Barreca. La ragazza è stata sempre tra le mie braccia e quelle di mio marito e le abbiamo dato supporto e amore. Padre Barreca Giovanni ha chiuso noi tutti dentro casa mettendo un tavolo rotondo davanti la porta e un catenaccio nel cancello esterno che poi lui stesso ha rotto con un martello. Penso che più di dare supporto a dei bambini a cui mancava l’affetto non potevamo fare, sia io che mio marito. Noi fondamentalmente ci trovavamo là, io e Massimo, per dare amore a questi tre ragazzi“.
Le parole di Sabrina Fina
“Kevin voleva addirittura lasciare la scuola e io invece gli dissi che era importante continuare – ha sottolineato la donna – Oggi non voglio rispondere perché il mio avvocato non ha il quadro accusatorio completo e quando l’avrà sarò io stessa a chiedere un nuovo interrogatorio. Per quello che è successo in quei giorni non ho altro da dire. Parlerò quando avrò cognizione piena del quadro accusatorio a mio carico“.
La ricostruzione della tragedia di Altavilla Milicia
“Mi chiamo Giovanni Barreca. Ho ucciso tutta la mia famiglia, venite a prendermi”. La telefonata al centralino dell’Arma è della scorsa notte. Il tono dell’uomo resta freddo, pacato. “Vi aspetto a Casteldaccia“, dice agli inquirenti prima di chiudere. Mentre una pattuglia prende in consegna l’omicida, un muratore di 54 anni, un’altra va nella sua casa di Altavilla Milicia, paese costiero a 30 chilometri da Palermo. Raccapricciante la scena a cui assistono i carabinieri.
A terra ci sono i cadaveri dei due figli, Emanuel di 5 anni e Kevin di 16. La terzogenita, 17enne, è seduta sul letto in una stanza, sotto choc. Avrebbe assistito ai delitti. L’ultima vittima, la moglie del muratore, Antonella Salamone, di 13 anni più giovane, viene trovata dopo ore. Pezzi del suo corpo carbonizzati sono a poca distanza dalla casa sotto un cumulo di terra. Il marito l’avrebbe uccisa e poi avrebbe dato fuoco ai resti.
La verità sulla strage sarebbe in un hard disk
All’interno dell’hard disk ci sono oltre tre mesi di indagini tecniche, perizie e copie forensi di tutti i telefoni dei quattro indagati, dei loro computer e di tutte le interazioni in rete. Inoltre, sono presenti i risultati delle autopsie, i rilievi nella villetta dell’orrore con foto e video. Ci sono i tracciamenti gps degli spostamenti degli indagati. Per le difese comincia la corsa contro il tempo per studiare gli 8mila gigabyte di materiale che di fatto sono le colonne portanti dell’indagine dei carabinieri.