Solo contro Cosa Nostra: la storia del giudice Gaetano Costa

Solo contro Cosa Nostra: la storia del giudice Gaetano Costa

PALERMO – Di lui “si poteva comperare solo la morte“. Era ciò che si diceva di Gaetano Costa, procuratore capo di Palermo assassinato dalla mafia il 6 agosto del 1980.

La carriera

Magistrato dotato di alta preparazione professionale, indipendenza ed equilibrio, prima di approdare nelle aule di giustizia era stato partigiano nella Val di Susa. Nato a Caltanissetta, il 1° marzo del 1916, dopo la guerra aveva iniziato a lavorare nel Tribunale di Roma e, successivamente, aveva chiesto e ottenuto il trasferimento nella Procura della Repubblica del capoluogo nisseno, sede nella quale ha svolto la maggior parte della propria attività professionale.

Nel capoluogo siciliano arriva nel 1978, quando viene nominato procuratore capo. La dichiarazione con la quale si presenta gli crea già inimicizie in quello che verrà poi additato come il “palazzo dei veleni”: “Non accetterò spinte od oppressioni, agirò con spirito di indipendenza. Cercherò di non farmi condizionare da simpatie e risentimenti“.

Le intuizioni investigative di Gaetano Costa

Dagli anni Sessanta Costa era consapevole che Cosa nostra aveva subito una mutazione viscerale, andandosi a insinuare all’interno della pubblica amministrazione, controllando appalti, assunzioni e gestione. Riteneva che per combattere efficacemente il fenomeno mafioso la magistratura dovesse essere dotata di strumenti legislativi che permettessero di indagare sugli ingenti patrimoni che giacevano nelle mani dei boss e dei loro prestanome. Ed è in tale direzione che aveva condotto le proprie investigazioni.

Intuizioni vincenti per le quali, però, proprio in virtù della loro esattezza e puntualità, è stato isolato via via sempre di più. Lo dimostra anche la firma che mise di proprio pugno e in solitaria per la convalida degli arresti di 55 mafiosi delle famiglie Spatola, Inzerillo e Gambino. Fece solo il suo dovere, con un gesto coraggioso di cui fu il solo a farsi carico e che, di fatto, ne determinò la condanna a morte da parte dei “padrini”.

Gli unici a non abbandonarlo ma, anzi, a condividerne idee e purtroppo sorte, furono il giudice Cesare Terranova (assassinato dalla mafia il 25 settembre 1979) e il capo dell’Ufficio Istruzione, Rocco Chinnici (col quale si confidava nell’ascensore del Palazzo di Giustizia – ritenuto unico luogo sicuro – e che ne continuò l’impegno fino al 29 luglio 1983, quando fu ucciso dal tritolo piazzato da Cosa nostra).

L’omicidio in via Cavour

Il 6 agosto 1980 Gaetano Costa passeggiava da solo vicino casa. Il giorno dopo sarebbe dovuto partire con la famiglia per trascorrere le vacanze estive nelle Isole Eolie. Gli era stata affidata un’auto blindata e la scorta, unico magistrato fino a quel momento al quale era stata concessa. Eppure non ne voleva usufruire: riteneva che la sua protezione avrebbe messo altre persone in pericolo. Un’eventualità che non poteva accettare, non lui che aveva “il dovere di avere coraggio“.

Così quella sera, verso le 19,30, Costa si fermò davanti a una bancarella di libri nella centrale via Cavour. I proiettili dei sicari di Cosa nostra, che lo avevano seguito sin da quando aveva messo piede fuori dalla propria abitazione, lo sorpresero alle spalle. A chinarsi su quel corpo crivellato dagli spari fu la moglie, Rita Bartoli Costa, che anni dopo, nel suo libro “Una storia vera a Palermo”, scrisse: “Quel giorno sono morta pure io. Poi il dolore si è trasformato in mortificazione. Per me che credevo nella democrazia, questa tragedia mi offendeva come donna, come cittadina. […] La mia grande speranza è di riuscire a vedere un giorno la Sicilia liberata dalla mafia dagli stessi siciliani. Senza ricorrere a invasioni militari o a leggi speciali. Coscienze libere che eliminano la mafia. Fino a non sentirne parlare più“.

Gaetano Costa: isolato e senza aver avuto giustizia

Come fu isolato in vita, Gaetano Costa venne lasciato ai margini anche nel momento della morte. Ai suoi funerali furono pochissimi i magistrati presenti.

Il sacrificio del giudice Costa è stato onorato con il conferimento della medaglia d’oro al merito civile. Ma la sua morte è rimasta senza colpevoli.

Fonte foto: Wikipedia