PALERMO – Disarticolato il mandamento mafioso di “Pagliarelli”, storica roccaforte di Cosa nostra.
Alle prime luci dell’alba, 300 militari dell’Arma hanno eseguito 39 provvedimenti nei confronti di individui ritenuti responsabili, a vario titolo, di associazione mafiosa, estorsione, traffico di droga e corruzione.
Le indagini sono state coordinate dalla Direzione Distrettuale Antimafia, e in particolare dal procuratore capo Francesco Lo Voi, dai procuratori aggiunti Leonardo Agueci e Teresa Maria Principato e dai sostituti Procuratori Caterina Malagoli e Francesco Grassi.
Arrestati i capi delle famiglie mafiose di “Pagliarelli”, “Corso Calatafimi” e “Villaggio Santa Rosalia”, individuati rispettivamente in Giuseppe Massimiliano Perrone, Alessandro Alessi e Vincenzo Giudice.
Raggiunto da un provvedimento restrittivo anche Salvatore Sansone – nipote del capo mandamento di “Pagliarelli”, Nino Rotolo – ritenuto elemento di spicco della famiglia mafiosa di “Uditore”.
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Le indagini hanno evidenziato la difficoltà di Cosa nostra a esprimere in quel contesto malavitoso una leadership autorevole e unanimemente riconosciuta, con la conseguente esigenza di affidare la gestione del sodalizio a una sorta di “organo collegiale”, un triumvirato costituito da tre giovani “uomini d’onore” tenuti al reciproco confronto sulle scelte strategiche.
Rispetto alle ultime indagini svolte su quel territorio (l’operazione “Hybris” del 2011), che provarono l’esistenza di una capillare pressione estorsiva esercitata anche nei confronti dei piccoli commercianti, le nuove indagini hanno evidenziato la tendenza al contenimento del fenomeno del pizzo, verosimilmente dovuta alla crisi economica e al diffondersi degli episodi di reazione da parte delle vittime.
Al contrario, Cosa Nostra continua a mostrare interesse nei confronti dei grossi appalti, come dimostra il tentativo di estorsione messo in atto direttamente da Perrone, che ha cercato di imporre forniture di materiali e di manodopera all’impresa aggiudicataria dell’appalto per la ristrutturazione del Policlinico “Paolo Giaccone”, oltre alla dazione di 500 mila euro, corrispondente all’1% dell’importo complessivo dei lavori, che ammontano a circa 50 milioni di euro.
Le attività hanno consentito di costatare un rinnovato interesse verso il traffico di sostanze stupefacenti che il sodalizio, ricorrendo a canali di approvvigionamento piemontesi e campani, era in grado reperire in grandi quantità.
L’operazione di oggi si ricollega ad altre portate a termine negli anni scorsi che hanno consentito nel tempo il sequestro di oltre 400 kg di hashish.
In particolare, nel novembre 2012 i carabinieri del Comando Provinciale hanno arrestato Giacinto Tutino, soggetto ritenuto vicino agli ambienti mafiosi bagheresi, sorpreso alla guida di un furgone adibito al trasporto di cavalli, all’interno del quale erano nascosti 250 kg di hashish acquistati dal clan camorristico dei “Gallo-Cavaliere” di Torre Annunziata.
Nel marzo 2014, ancora, è stato intercettato un ulteriore carico di 150 kg di hashish, trasportato dal torinese Eros Fonsato e dai catanesi Agatino Spampinato e Salvatore Bellia. L’ingente quantitativo di droga, questa volta, proveniva da Torino ed era riconducibile a Concetta Celano, una donna di origini siracusane considerata, già nel 2003, il “capo di una violenta e armata organizzazione di trafficanti, in contatto diretto con il Perù e l’Equador.
La Celano, il 9 aprile successivo, venuta a Palermo per assistere all’udienza di convalida dei suoi corrieri, al termine del processo è stata arrestata perché trovata in possesso di 5 kg di hashish, che le sarebbero stati restituiti poco prima da Vincenzo Giudice, in quanto ritenuti di scarsa qualità.
Anche l’attività di spaccio si svolgeva sotto il diretto controllo della consorteria, che aveva imposto un preciso “protocollo operativo”, la cui inosservanza da parte dei pusher comportava il prelievo coattivo dei veicoli in loro uso e, nei casi più gravi, addirittura violente e sanguinose spedizioni punitive.
Ecco i nomi: Alessandro Alessi, Giuseppe Perrone, Vincenzo Giudice, Michele Armanno, Giovan Battista Barone, Salvatore Sansone, Tommaso Nicolicchia, Andrea Calandra, Giosuè Castrofilippo, Giovanni Giardina, Alessandro Anello, Carlo Grasso, Antonino Spinelli, Matteo Di Liberto, Rosario Di Stefano, Aleandro Romano, Stefano e Giuseppe Giaconia, Concetta Celano, Giuseppe Castronovo. Ai domiciliari Vincenzo Bucchieri, Paolo Castrofilippo, Daniele Giaconia, Giovanni Correnti, Antonino Calvaruso, Gaetano Vivirito, Luigi Parolisi, Carmelo Migliaccio, Salvatore Ciancio, Domenico Nicolicchia, Giuseppe Bruno, Pietro e Antonino Abbate mentre l’obbligo di dimora nel comune di residenza è toccato a Mauro Zampardi, Angelo Milazzo, Cosimo Di Fazio, Giovanni Catalano, Giuseppe Di Paola e Francesco Ficarotta.
Fra questi, dunque, c’è anche un commissario della polizia municipale, Gaetano Vivirito. È accusato di corruzione: il mafioso Antonino Calvaruso, proprietario di un autolavaggio, che ospitava anche summit di mafia, gli avrebbe dato del denaro per evitare sanzioni dopo un controllo dei vigili urbani. Vivirito avrebbe accettato. Le intercettazioni mettono in luce anche i pesanti giudizi espressi dal vigile nei confronti dei colleghi troppo solerti e da lui definiti “crasti”.