Rocco Chinnici, il “padre fondatore” del pool antimafia ucciso dal tritolo 37 anni fa

Rocco Chinnici, il “padre fondatore” del pool antimafia ucciso dal tritolo 37 anni fa

PALERMO – L’utilizzo dell’esplosivo per uccidere i magistrati è stato riservato da Cosa nostra a tre uomini. Falcone e Borsellino furono rispettivamente il secondo e il terzo togato a morire in una violenta esplosione. Il primo fu il Consigliere Istruttore Rocco Chinnici.

L’attentato

Alle 8,05 di venerdì 29 luglio 1983, una Fiat 126 verde parcheggiata davanti al civico 59 di via Giuseppe Pipitone Federico, con all’interno 75 chili di tritolo, viene fatta esplodere da Antonino Madonia. Con Chinnici, muoiono altre 3 persone: gli uomini della scorta, il maresciallo dei carabinieri Mario Trapassi e l’appuntato Salvatore Bartolotta, e il portiere dello stabile in cui viveva il magistrato, Stefano Li Sacchi. Si salva solo l’autista, Giovanni Paparcuri.

Le intuizioni di Rocco Chinnici

Chinnici aveva cominciato a occuparsi del fenomeno mafioso a partire dal 1970. Nei lunghi anni della sua carriera aveva puntato l’attenzione sugli intrecci di Cosa nostra con ambienti politico-istituzionali, sottolineando l’importanza degli appalti e della commistione fra “padrini”, politici e imprenditori. Del capoluogo siciliano aveva detto: “Palermo è una città sonnolente, Palermo è una città piena di mafia, non è soltanto a livello della gente comune che si evita di parlare, ma anche a certi livelli“.

Il magistrato, nato a Misilmeri il 19 gennaio 1925, fu il primo a intuire le relazioni tra Cosa nostra e la mafia “esportata” negli Stati Uniti d’America, legate dal fiorente narcotraffico. Chinnici aveva, inoltre, compreso che il problema mafioso andava trattato su più fronti: giudiziario, sociologico, didattico ed educativo.

Il seme per la nascita del pool antimafia

In merito all’aspetto giuridico, modificò radicalmente il metodo di lavoro, centralizzando e organizzando meglio le inchieste di mafia. Istituì una struttura collaborativa di coordinamento tra i magistrati dello stesso ufficio. Una struttura che successivamente, sotto la guida di Antonio Caponnetto, prese il nome di pool antimafia. Chinnici era infatti consapevole che, se il lavoro solitario del magistrato da una parte garantiva grande autonomia, dall’altro comportava la parcellizzazione delle conoscenze, individuando nell’isolamento il rischio primario di perdere, qualora un giudice venisse ucciso, anche il lavoro che aveva portato avanti nelle attività d’indagine.

Si espose insieme all’amico e collega Gaetano Costa (ucciso dalla mafia il 6 agosto 1980, in via Cavour, a Palermo) affinché fosse riconosciuta la specificità del reato di associazione a delinquere di stampo mafioso e affinché i giudici potessero indagare e intervenire sui patrimoni illeciti che la mafia aveva per le mani. Il risultato di questo impegno fu la legge Rognoni-La Torre, del settembre 1982.

L’impegno verso le nuove generazioni di Rocco Chinnici

L’attività contro Cosa nostra di Rocco Chinnici non fu relegata solo alle aule di giustizia. Mosso dalla convinzione che il problema della criminalità organizzata fosse prima che giudiziario, un problema sociale, culturale e umano, portò la propria testimonianza nelle scuole, parlando a studenti e professori sperando che, attraverso un diverso approccio educativo e con un’adeguata formazione e informazione, i giovani avrebbero potuto difendersi dal fenomeno mafioso. Parlare apertamente di criminalità organizzata alle nuove generazioni fu una vera e propria novità in quei tempi in cui, prima di tutto, si faticava a combattere contro l’omertà e l’imperante silenzio sui fatti di mafia. Questo il pensiero di Chinnici: “Senza una nuova coscienza, noi, da soli, non ce la faremo mai”.

Le minacce e le indagini prima della morte

Un impegno che infastidì, inevitabilmente, i boss di Cosa nostra. Fu lo stesso Chinnici a raccontare le minacce di morte che riceveva con telefonate a casa, alcune delle quali furono registrate. Il magistrato riportò anche il contenuto di quella che definì “la più brutta“: “Mi si disse ‘il nostro tribunale ha deciso che lei deve morire e l’ammazzeremo dovunque lei si trovi‘”.

Poco prima di essere ucciso, Rocco Chinnici stava indagando sui mandanti e gli esecutori dei delitti di Piersanti Mattarella, Pio La Torre e Carlo Alberto Dalla Chiesa. Riteneva che un’unica regia accumunasse questi omicidi. Non ebbe il tempo di portare a termine le indagini.

Fonte foto: csm.it