Ricordando Rocco Chinnici, l’uomo che cambiò la lotta alla mafia

Ricordando Rocco Chinnici, l’uomo che cambiò la lotta alla mafia

PALERMO – Era il 29 luglio 1983. Una Fiat 126 verde imbottita di tritolo stava per esplodere in via Pipitone Federico a Palermo. In quella via abitava il magistrato antimafia Rocco Chinnici, bravo servitore della giustizia, ma soprattutto brav’uomo. Probabilmente uno di quelli che, come i suoi amici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, sapeva che fine avrebbe fatto, sapeva che il suo coraggio e la sua voglia di combattere il più terribile dei mali della sua terra lo avrebbe portato a non invecchiare. E così è stato. Il pulsante del detonatore che azionava l’autobomba è stato spinto. Da quel momento Rocco Chinnici non era più un semplice, se così si può definire, magistrato antimafia. Da quel momento egli era un martire, uno di quei tanti uomini che hanno perso la vita per portare avanti la loro idea di Stato, di giustizia.

Proprio giustizia, perché Rocco Chinnici era un uomo giusto e come lui anche quelli che nell’attentato hanno perso la vita, il maresciallo dei carabinieri Mario Trapassi, l’appuntato Salvatore Bartolotta, componenti della scorta del magistrato, e il portiere dello stabile dove risiedeva Chinnici, Stefano Li Sacchi. Oggi a 32 anni dalla sua morte ricordarlo come vittima di un atto mafioso sarebbe un insulto alla sua memoria. Egli va ricordato per la sua lealtà, la sua dedizione e la sua professionalità, per avere istituito il “pool antimafia” che ha cambiato l’idea di lotta alla criminalità organizzata, e l’idea di giustizia che c’è in ogni siciliano e non.

E allora ogni parola diventa superflua, ogni aggettivo sprecato e ogni gesto insignificante. Il miglior ricordo di Chinnici, e di tutti coloro che come lui hanno perso la vita nelle stragi di Palermo, è la consapevolezza che questa terra può cambiare e deve farlo, oggi più che mai.

Grazie giudice Chinnici!