Polemica per Riina “Junior” ospite di un podcast: le dichiarazioni shock sul padre

Polemica per Riina “Junior” ospite di un podcast: le dichiarazioni shock sul padre

SICILIA – Non una semplice intervista, ma piuttosto un tentativo di distorcere la realtà, mettendo in discussione anni di indagini, sentenze e di vite spezzate.

È questa la chiave con cui l’opinione pubblica ha interpretato la “messa in onda” della recente puntata de Lo Sperone Podcast (condotto da Gioacchino Gargano), durante la quale è stata data voce al figlio di Totò Riina.

RiinaJunior” ha scontato una condanna a otto anni per associazione mafiosa e di recente è tornato nel paese di origine.

A generare polemica e indignazione sono state le parole da lui pronunciate, a partire da quelle in cui ha dichiarato che il boss di Corleone “ha combattuto il sistema”.

“Mio padre non ha mai ordinato l’omicidio del piccolo Giuseppe Di Matteo. Giovanni Falcone, quando l’hanno ammazzato, non dava più fastidio alla mafia o a Totò Riina, ma ad altri dietro le quinte. L’antimafia è un carrozzone composto da gente che ha bisogno di stare sotto i riflettori e a dimostrarlo sono i casi della giudice Silvana Saguto e dell’imprenditore Antonello Montante, finti e antimafiosi di facciata”. E queste sono solo alcune delle dichiarazioni che hanno fatto scalpore, sul web, sui social, ma anche tra i giornalisti dell’Ordine e le istituzioni.

Il disappunto dell’Ordine dei giornalisti di Sicilia

L’Ordine dei giornalisti di Sicilia “prende atto con sconcerto dei contenuti di una chiacchierata fra i conduttori di un podcast trasmesso sul web e il figlio del sanguinario boss mafioso, Totò Riina”.

“La chiacchierata – spiega l’Ordine in una nota – che non possiamo considerare intervista sia perché i conduttori del podcast non sono giornalisti sia perché il figlio di Riina ha potuto incensare il padre senza che nessuno dei presenti ricordasse le condanne del padre passate in giudicato e i reati a esse connessi, viene considerata un’offesa alle vittime di Riina, a quelle di mafia più in generale e a tutta la categoria dei giornalisti. Con particolare riferimento a quei colleghi che quotidianamente svolgono con professionalità questo mestiere, rischiando la propria incolumità e, a seguito dell’uso e dell’abuso dello strumento della querela, anche i propri patrimoni”.

L’Ordine dei giornalisti di Sicilia invita “tutte le autorità interessate a verificare se nel corso del podcast possano essere riscontrate fattispecie di reato e, per proprio conto, si muoverà per verificare il configurarsi del reato di esercizio abusivo della professione“.

“Parole feroci come la storia della sua famiglia”

“Le parole del figlio di Totò Riina – ha commentato la presidente dell’Antimafia, Chiara Colosimo – sempre alla perenne ricerca di visibilità, sono feroci e crudeli come la storia della sua famiglia. Nessuna ricostruzione fantasiosa potrà mai trasformare dei boss mafiosi in presunti uomini da ammirare. Una storia che invece di essere annientata definitivamente, trova ancora spazio nel nostro dibattito pubblico. Lo Stato ha vinto, loro hanno perso. Questa è una verità che nessuno mai potrà cancellare”.

L’indignazione del presidente Schifani

Per il presidente della Regione, Renato Schifani, “le dichiarazioni del figlio di Totò Riina sono gravissime e offensive non solo nei confronti della memoria di Giovanni Falcone e delle vittime della mafia, ma anche verso tutti i siciliani che ogni giorno lottano per affermare la legalità” e “non accetto che si provi a riscrivere la storia con falsità indegne: Falcone è stato ucciso perché era il simbolo della lotta alla mafia, punto”.

Il sindaco Lagalla: “Palermo risponde col silenzio del disprezzo”

Si è introdotto nel dibattito anche il sindaco di Palermo, Roberto Lagalla: “Le parole pronunciate in un’intervista da Giuseppe Salvatore Riina sono deliranti, false e profondamente offensive per Palermo, per la Sicilia e per la memoria collettiva di chi ha pagato con la vita il proprio impegno per la legalità. Negare l’evidenza storica e giudiziaria sull’omicidio di Giuseppe Di Matteo, infangare la memoria di Giovanni Falcone e screditare chi ogni giorno combatte la mafia, equivale a riscrivere la storia in modo vigliacco e strumentale. Palermo conosce bene il dolore causato da Cosa nostra e non permetterà che la voce di chi tenta di riabilitare l’orrore mafioso trovi spazio o legittimazione pubblica. La nostra città sta voltando pagina, anche grazie al sacrificio di magistrati, forze dell’ordine, giornalisti, imprenditori e semplici cittadini. A questi eroi silenziosi va il nostro rispetto e il nostro ricordo. A chi cerca visibilità, riabilitando il passato criminale della propria famiglia, Palermo risponde con il silenzio del disprezzo. Alcuni nomi non meritano alcuna ribalta, né attenzione”.