PALERMO – Sono passati 45 anni dall’uccisione di Piersanti Mattarella, l’omicidio mafioso che avvenne il 6 gennaio 1980. Tra l’altro, proprio a ridosso dell’anniversario, sono stati scoperti due nuovi indagati per il delitto, ovvero Antonio Madonia e Giuseppe Lucchese, killer di Cosa Nostra già detenuti all’ergastolo.
Ma facciamo qualche passo indietro per ripercorrere l’intera vicenda e ricordare un vero e proprio esempio d’impegno e dedizione nelle attività svolte.
Come già detto in precedenza, era il 6 gennaio 1980, quando Piersanti Mattarella, l’allora Presidente della Regione Sicilia, nonché fratello dell’attuale Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, venne brutalmente assassinato a Palermo.
Piersanti Mattarella stava portando avanti nel capoluogo un’opera di modernizzazione dell’amministrazione regionale, inoltre lavorava affinché la Sicilia risultasse il più pulita possibile.
Aveva infatti apportato numerosi cambiamenti nei suoi anni di mandato, già dal momento in cui entrò in carica, il 21 marzo 1978. In primis ci fu una riforma del governo regionale. In questo modo si accentuò la collegialità dell’azione della giunta, dando la possibilità al presidente di avocare a sé decisioni spettanti ai singoli assessori e allargando le materie da sottoporre all’intero governo. Vennero pertanto razionalizzate le competenze degli assessorati. In più entrarono in vigore la previsione di tempi rapidi e certi per la pubblicazione degli atti approvati dall’Ars e nuovi criteri molto più severi per la nomina dei dirigenti pubblici.
Poi venne creato il il Comitato della programmazione, che univa deputati regionali ed esperti della società civile, rappresentando una nuova misura di razionalizzazione politico-amministrativa.
In seguito furono attuate anche altre disposizioni, quali il piano d’emergenza per la mobilitazione di risorse per l’occupazione e i provvedimenti contro la disoccupazione. Ma anche l’attuazione di un radicale decentramento a favore dei comuni, il piano di rifinanziamento degli asili nido, la legge sul settore agricolo e quella sui consultori familiari.
In più, vennero realizzate ulteriori “manovre”, e in particolare furono due. La legge urbanistica, che riduceva drasticamente gli indici di edificabilità dei terreni agricoli, contro speculatori e costruttori abusivi, che a quel punto dovevano rispondere a determinati oneri per le opere di urbanizzazione, che viceversa prima erano a carico degli enti pubblici. La legge sugli appalti, che favoriva trasparenza e imparzialità nella pubblica amministrazione, riformando anche il sistema di collaudo delle opere pubbliche. Quest’ultima tra l’altro fece emergere parecchi atti illeciti.
Proseguì con il programma di riforme, con l’attuazione del piano di sviluppo per la Sicilia, da parte del Comitato della programmazione. In seguito ci furono il nuovo piano di ammodernamento agricolo e l’istituzione delle unità sanitarie locali. Venne anche istituita una riforma degli enti economici siciliani, che introduceva criteri di efficienza e trasparenza, incompatibilità e limiti di durata degli incarichi dirigenziali.
In quel periodo, era il 1979, Piersanti Mattarella aveva predisposto un’ispezione straordinaria al Comune di Palermo. Riguardava la costruzione di sei edifici scolastici, assegnati ad altrettante imprese edili tutte riconducibili ad un unico soggetto, cioè Rosario Spatola. Si trattava di un imprenditore molto conosciuto, sospettato di avere legami con il clan mafioso Inzerillo-Gambino. Gli accertamenti sottolinearono le numerose irregolarità presenti, pertanto venne annullata la gara d’appalto.
In quel preciso periodo storico, in Sicilia si venne a creare una sorta di “schieramento”. Quest’ultimo poneva da una parte chi decideva di stare con la giustizia, a favore delle vittime innocenti della mafia. Dall’altra coloro che invece “non davano fastidio“, quasi “appoggiando” la criminalità organizzata e il loro operato. Piersanti Mattarella ovviamente rientrava nella prima categoria, e pronunciò un discorso molto forte nei confronti di Cosa Nostra. Parlò prima in generale del fenomeno mafioso e scendendo nei dettagli, con corruzione interna e delinquenza regionale.
Soltanto una rivista, con coraggio e determinazione, pubblicò quanto stava accadendo. Si trattava di “Terra e Vita“, un periodico settimanale che scrisse un resoconto sugli avvenimenti. Il giornale si riferiva sia a Piersanti Mattarella, che al deputato Pio La Torre, che aveva denunciato la collusione con la mafia di Giuseppe Aleppo, l’allora assessore dell’agricoltura, scatenando quindi grande fermento.
La mattina del 6 gennaio 1980, in via Libertà a Palermo, mentre Mattarella si stava recando a messa insieme alla sua famiglia, a bordo della propria Fiat 132, venne avvicinato da un uomo che gli sparò con diversi colpi di rivoltella calibro 38, frantumando il finestrino dell’auto. Subito dopo, il sicario si allontanò per andare verso una Fiat 127 bianca, al cui interno vi era un complice, per prendere un’altra rivoltella calibro 38, con cui uccise definitivamente Mattarella.
La vettura dei due fu poi ritrovata nel primo pomeriggio, verso le ore 14:00. Era stata abbandonata lungo lo scivolo di un garage di via Maggiore De Cristoforis, distante circa 700 metri dal luogo del delitto. Inizialmente fu considerato un attentato terroristico, poiché subito dopo l’assassinio arrivarono rivendicazioni da parte di un sedicente gruppo neofascista. Alla fine, a seguito delle indagini, l’omicidio di Piersanti Mattarella venne classificato come delitto politico-mafioso.
Il procuratore nazionale antimafia, Pietro Grasso, nel libro “Per non morire di mafia“, ha scritto che Piersanti Mattarella “stava provando a realizzare un nuovo progetto politico-amministrativo, un’autentica rivoluzione. La sua politica di radicale moralizzazione della vita pubblica, secondo lo slogan che la Sicilia doveva mostrarsi “con le carte in regola”, aveva turbato il sistema degli appalti pubblici con gesti clamorosi, mai attuati nell’isola“.
Per l’omicidio vennero condannati i boss mafiosi Salvatore Riina, Michele Greco, Bernardo Provenzano, Bernardo Brusca, Giuseppe Calò, Francesco Madonia e Nené Geraci.
Ma recentemente, alla luce di nuovi risvolti e sviluppi sulla vicenda, le indagini sono state riaperte, attribuendo dei nomi ai responsabili del delitto, all’epoca effettuato a volto coperto.
Antonio Madonia è stato accusato di essere l’esecutore materiale, e Giuseppe Lucchese invece guidava il veicolo. Questo secondo l’inchiesta della procura di Palermo.
I due in passato si erano resi responsabili di diversi omicidi, come quello del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, nella strage di via Carini.
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