PALERMO – Questa mattina, i carabinieri del comando Provinciale di Palermo hanno dato esecuzione a un’ordinanza di custodia cautelare in carcere e agli arresti domiciliari emessa dall’Ufficio G.I.P. del Tribunale di Palermo, su richiesta della Procura Distrettuale Antimafia di Palermo, nei confronti di 10 indagati (9 in carcere e uno ai domiciliari), ritenuti a vario titolo responsabili di associazione per delinquere di tipo mafioso, estorsioni aggravate, furto aggravato, violazione delle prescrizioni imposte dalle misure preventive.
L’indagine, seguita da un pool di magistrati coordinati dal procuratore aggiunto dottore Salvatore De Luca, costituisce un’ulteriore fase di un’articolata manovra investigativa condotta dal Nucleo Investigativo di Palermo sul mandamento mafioso di Palermo Tommaso Natale che ha consentito di comprovare la perdurante operatività di quell’articolazione di Cosa nostra.
Nel corso degli ultimi anni, il complesso percorso investigativo ha permesso l’esecuzione di numerose operazioni nei confronti degli esponenti del mandamento mafioso di Tommaso Natale tra cui “Oscar” (2011), “Apocalisse” (2014) e “Talea” (2017) in cui era stata cristallizzata la reggenza di Francesco Paolo Liga (figlio dello storico boss Salvatore Liga, detto “u Tatenuddu”), poi affiancato, a partire dalla sua scarcerazione avvenuta nell’ottobre 2015, da Giuseppe Biondino (figlio di Salvatore, l’autista di Totò Riina), arrestato di nuovo nel gennaio 2018.
L’operazione “Teneo”, prosecuzione dell’indagine “Talea”, aveva un deciso impulso con il monitoraggio di Vincenzo Taormina, imprenditore del settore movimento terra particolarmente vicino a Francesco Paolo Liga, documentando una serie di dinamiche associative che ruotavano intorno alla figura di quest’ultimo.
La reggenza mafiosa di Francesco Paolo Liga era però caratterizzata da una scarsa efficacia ed era vissuta negativamente da molti affiliati, i quali riponevano grandi aspettative per un rinnovato potenziamento di Cosa nostra nella scarcerazione (febbraio 2017) eccellente di Giulio Caporrimo (e poi di Nunzio Serio e di altri affiliati arrestati nell’operazione “Oscar”), di cui magnificavano la capacità di comando, il carisma e l’influenza nella dinamiche mafiose (“cento carati…” e “l’hai sentita la buona notizia? È uscito Giulio, è uscito”).
In effetti, gli equilibri mafiosi si spostavano immediatamente in favore dello stesso Giulio Caporrimo e di Nunzio Serio, con un evidentemente ridimensionamento di Francesco Paolo Liga, senza che venisse comunque esautorato.
La libertà d’azione di Caporrimo è durata 7 mesi circa poiché, nel mese di settembre 2017, è stato destinatario di un nuovo provvedimento restrittivo; da quel momento in poi, le redini del mandamento mafioso sono state prese da Nunzio Serio, sino al suo arresto avvenuto nel maggio 2018. Proprio in quel mese, il 29 maggio, si è riunita per la prima volta dopo l’arresto di Salvatore Riina, la ricostituita commissione provinciale di Cosa nostra palermitana, a cui ha partecipato Calogero Lo Piccolo, nuovo rappresentante del mandamento di Tommaso Natale, poi arrestato nel gennaio 2019 con il seguito dell’operazione “Cupola 2.0”, nel corso della quale sono stati arrestati ben 6 capi mandamento, tutti promotori e protagonisti del nuovo progetto di ristrutturazione dell’organizzazione criminale, compreso Settimo Mineo che avrebbe dovuto assumere la carica di vertice provinciale.
Nel corso delle indagini sono stati monitorati diversi incontri tra Caporrimo e Serio avvenuti, in alcune occasioni, anche al largo delle coste palermitane, sui rispettivi gommoni. Le microspie hanno registrato uno spaccato anche pittoresco della vicenda, nel momento in cui il primo lamentava uno scadimento sempre maggiore dei costumi del luogo per la presenza delle moto d’acqua che scorrazzavano nei pressi dei bagnanti di Sferracavallo. Il capomafia raccontava di essere intervenuto personalmente nei confronti di alcuni utilizzatori delle moto d‘acqua, originari dei quartieri Brancaccio e Pagliarelli, i quali, riconoscendolo, avevano tenuto un comportamento remissivo, tanto da essersi di seguito spostati sulla zona di Mondello, dall’altro lato della riserva di Capo Gallo, perché a Sferracavallo “c’era lo zio in porto”.
Caporrimo e Serio si sono avvalsi per la gestione materiale ed esecutiva delle diverse attività illecite di diversi soggetti, tra cui Andrea Gioè (già arrestato per mafia e attuale referente per il quartiere Sferracavallo), Andrea Bruno (già arrestato per mafia e attuale referente per il quartiere Marinella), Vincenzo Taormina, Vincenzo Billeci, Francesco Di Noto (già arrestato nell’operazione “Talea”) e Giuseppe Enea.
Le risultanze investigative hanno cristallizzato la particolare attenzione riposta dagli esponenti mafiosi nei confronti delle imprese operanti nel settore edile e sono state ricostruite 7 vicende estorsive consumate o tentate di cui 2 denunciate spontaneamente dalle vittime:
- il tentativo di Taormina, con la complicità di Di Noto, di imporre la fornitura di scarrabili e di sabbia a un imprenditore edile, per poi costringerlo al pagamento di un’estorsione di milla euro per i lavori di ristrutturazione di uno stabile a Sferracavallo;
- una tentata estorsione di Liga e di Taormina nei confronti di un altro imprenditore edile affinché affidasse a un soggetto a loro vicino la realizzazione degli impianti di condizionamento all’interno di un cantiere aperto in via Partanna Mondello di Palermo;
- una estorsione condotta da Liga e da Taormina ai danni di un imprenditore edile, la cui impresa era impegnata in lavori di ristrutturazione all’interno di un residence ubicato in via Tommaso Natale, con la complicità e la mediazione del relativo portiere, Giuseppe Enea;
- un’altra estorsione commessa da Bruno che costringeva un imprenditore edile a rinunciare ai lavori di ristrutturazione di un immobile, ubicato nella zona della Marinella di Palermo, che poi venivano assegnati a una ditta a lui riconducibile;
- il tentativo di Baldassare Migliore (imprenditore edile ed esponente della famiglia mafiosa di Passo di Rigano) di bloccare l’avvio dei lavori di scavo nella zona di via Michelangelo di Palermo da parte di una ditta edile, il cui titolare avrebbe dovuto cercare dapprima un contatto con gli esponenti mafiosi del territorio per la cosiddetta “messa a posto”;
- il furto aggravato commesso da Taormina, quale forma di avvertimento e di intimidazione mafiosa, di un cassone scarrabile collocato dalla vittima in via Plauto, sulla pubblica strada;
- un’altra estorsione commessa da Taormina ai danni di un imprenditore edile, la cui impresa aveva aperto un cantiere in via Porta di Mare di Palermo.