PALERMO – Rimangono in carcere Matteo, 39 anni, Domenico, 49 anni e Giovanni Battista Romano, i tre familiari accusati di avere sparato e ucciso Emanuele Burgio nella notte tra domenica e lunedì alla Vucciria, a Palermo.
Il G.I.P., Piergiorgio Morosini, ha convalidato il fermo e disposto la custodia cautelare in carcere per i tre.
Il giudice ha quindi accolto le richieste del procuratore aggiunto Salvatore De Luca e dei sostituti Giovanni Antoci e Federica Paiola, che coordinano l’indagine della Squadra Mobile.
Il racconto
Domenico Romano è stato l’unico degli accusati a non avvalersi della facoltà di non rispondere, raccontando in sede di interrogatorio la sua versione dei fatti. Secondo le sue parole, sarebbe partito tutto da una banale lite per un incidente stradale avvenuto giorni prima dell’omicidio. Pare che ci sia stato un urto tra la macchina di Burgio e il gomito di uno dei Romano (o un urto tra specchietti), che avrebbe generato attriti tra le due famiglie.
Secondo le parole di Domenico, la questione, dopo i primi attriti (culminati con una presunta testata data dalla vittima di omicidio a Giovanni Battista), sembrava essersi risolta. Ma il giorno degli spari alla Vucciria, Emanuele Burgio avrebbe nuovamente aggredito i Romano dicendo che avrebbe strappato la testa di Matteo per giocarci a pallone.
Le pallottole, dunque, sarebbero arrivate “solo per legittima difesa“, dice il fermato. Nessuna premeditazione da parte dei Romano, ma solo la volontà di evitare di essere aggrediti come capitato in passato. Il movente resta comunque ancora da verificare.
Anche perché secondo l’accusa, i Romano avrebbero invece premeditato il tutto, attendendo Emanuele Burgio con degli scooter. Intanto, tutti restano in carcere e Palermo piange Emanuele. “Non lo spegni il sole se gli spari“, urlano i familiari e gli amici.