“Mio padre non è la mafia”: figlia di Riina racconta la “vita normale” del boss

“Mio padre non è la mafia”: figlia di Riina racconta la “vita normale” del boss

PALERMO – Mio padre non è la mafia, è mio padre. Poi che è Totò Riina, questo è un altro discorso“. A parlare alle telecamere del programma televisivo “Le Iene” è Maria Concetta, figlia del “capo dei capi”.

Questa sera, su Italia 1, andrà in onda un servizio dedicato al defunto boss di Cosa Nostra che, a giudicare dalle anticipazioni, farà discutere.

Raggiunta a San Pancrazio Salentino (in provincia di Brindisi), da Giulio Golia, la figlia di Totò racconta la “vita normale” ai tempi della latitanza dell’uomo più ricercato d’Italia: “Usciva normalmente, senza trucchi, senza maschere. Quando c’era bisogno uscivamo, per andare a fare la spesa, in farmacia“.

Uno sfuggire alla giustizia che non ha privato “la bestia” (come era soprannominato il boss a causa della sua rinomata violenza) degli affetti familiari. Maria Concetta, infatti, dichiara: “Io, mio padre, mia madre e i miei fratelli siamo stati sempre insieme durante la latitanza. Non andavamo a scuola, era mia madre a farci da insegnante perché giravamo sempre, di continuo, non ci fermavamo mai. Lui diceva che per il lavoro dovevamo andarcene in un altro posto. Non lo capivamo, magari eravamo pure piccoli. Non avevamo questa percezione di una cosa brutta, negativa, tipo che fossimo braccati. Non ci diceva ‘dobbiamo scappare’ di notte oppure ‘dobbiamo allontanarci perché siamo seguiti o siamo braccati’. No, lui ci diceva con calma ‘dobbiamo andarcene’. E così facevamo le valigie e ce ne andavamo“.

Una vita alla luce del sole, letteralmente visto che nella vita dei Riina non sono mancate nemmeno le vacanze: “Andavamo al mare. Stavamo una, due settimane“. Tutto senza essere mai fermati dalle forze dell’ordine: “Giravamo e non ci fermava mai nessuno“. Una fortuna non da poco per l’uomo più ricercato del Paese.



Tra gli aneddoti raccontati da Maria Concetta c’è spazio anche per quello “spinoso” legato all’attentato al giudice Giovanni Falcone: “Quando ci fu la strage di Capaci l’abbiamo saputo dal tg. Eravamo tutti sul divano. Mio padre era normale, non era né preoccupato, né felice. E non è vero, come hanno detto, che ha brindato con lo champagne“.

Per me è stato un buon padre“, è questo in sostanza il quadro dipinto da Maria Concetta che non prende le distanze dal “celebre” genitore “perché mio padre ai miei occhi era un’altra persona, non è il mostro che vedete voi, che vede l’Italia intera. E poi penso che ci sono delle cose che in cuor mio non sono state commesse. Non lo so se era uno stinco di santo, non lo devo giudicare io, sarà il Signore a giudicarlo. L’ha già giudicato del resto, è morto il 17 novembre. Se non era uno stinco di santo sarà all’inferno, se lo era starà in paradiso. Non lo so dove sarà.  Io ho le mie buone ragioni per pensare che mio padre in certe cose non c’entra. Non ha potuto fare tutto quello da solo“.

Proprio su quest’ultimo punto focalizza l’attenzione la figlia di Riina definendolo “un parafulmine“. Per Maria Concetta, infatti, il “padre ha fatto comodo a tante persone. Si è accollato tante cose che altrimenti avrebbero dovuto accollarsi altri“.

Una prima volta davanti ai microfoni quella di una degli eredi di Riina che arriva pochi giorni dopo la notizia del lancio di un sito di e-commerce, “Zu Totò, il cui marchio è un chiaro omaggio al “capo dei capi”. Promotori dell’iniziativa sono Maria Concetta e il marito Antonino Ciavarello, definitosi un “perseguitato” dalla Procura di Palermo, arrestato a inizio dicembre per truffa.