La mafia siciliana e il traffico internazionale con l’area balcanica: riciclaggio di denaro e diamanti

PALERMO – Nel corso dell‘operazione Balkani, effettuata dai carabinieri di Palermo, sono emersi alcuni dettagli che collegano direttamente la mafia siciliana con quella interazionale. Diverse sono le intercettazioni telefoniche e le prove che testimoniano, infatti, la collaborazione tra esponenti dei clan siciliani, come Giangrosso e Pulvirenti, e delinquenti di area balcanica, ai fini di riciclaggio, traffico di armi e stupefacenti, nonché traffico illecito di clandestini in area balcanica.

Giuseppe Giangrosso, 61enne nato a Roccamena (PA), e Falmir Ljatifi, macedone 47enne residente nel palermitano, hanno incontrato un noto soggetto appartenente alla sfera mafiosa nell’area di Adrano (CT) per ben tre volte: il 16 novembre 2016, il 27 settembre e il 20 ottobre 2017.

Il delinquente adranita, infatti, risulta implicato in vicende giudiziare per associazione mafiosa, rapina, traffico di armi e stupefacenti.

I tre si sono incontrati per ben due volte all‘Outlet Village di Dittaino e una volta a Palermo. Durante il primo appuntamento, del 16 novembre 2016, è stato certamente presente un nipote di Giuseppe Pulvirenti, quest’ultimo noto come “u malpassotu”, capomafia di Belpasso (CT).

È così che la mafia siciliana ha ingaggiato, nella fattispecie, i traffici illeciti internazionali. Ljatifi, che si occupava di procurare clandestini da transitare illegalmente fino ai Balcani, passando per la Svizzera dopo un breve soggiorno al nord Italia, ha pensato insieme a Giangrosso di avviare un’associazione a delinquere ulteriore, finalizzata al riciclaggio transnazionale di denaro.

Dopo essersi, infatti, procurati dei collaboratori esperti, hanno iniziato a riciclare denaro proveniente da furti e rapine a bancomat, denaro da movimentare attraverso canali bancari, diamanti di illecita provenienza, oro derivato da delitti contro il patrimonio.

Durante le indagini sono state individuate diverse persone coinvolte nei vari “settori” di provenienza del denaro. Ljatifi ha consentito alla mafia siciliana un collegamento diretto con la malavita dell’area balcanica, luogo da cui arrivavano ingenti somme da reimmettere nel mercato.

Le banconote macchiate di inchiostro indelebile, perché provenienti da furti e rapine ai danni dei bancomat, venivano chimicamente smacchiate. Le sostanze chimiche utilizzate danneggiavano gli ologrammi delle banconote e rendevano necessaria la collaborazione di associati siciliani che fornivano ologrammi “nuovi”.

Ljatifi aveva anche il compito di procacciare i clienti abbienti che volessero acquistare i diamanti illeciti. Tra i clienti più facoltosi sono stati scoperti persino soggetti residenti a Bruxelles.