PALERMO – Tra i dodici indagati nell’ambito di un’operazione condotta dalla Direzione Distrettuale Antimafia (DDA) di Palermo figura anche il cantante catanese Niko Pandetta, noto per il suo legame familiare con lo storico boss mafioso Turi Cappello.
L’indagine ha portato alla luce un vasto traffico di droga e telefoni cellulari all’interno del carcere “Antonio Lorusso – Pagliarelli” di Palermo, con la complicità, secondo gli inquirenti, anche di alcuni agenti della Polizia Penitenziaria.
Niko Pandetta coinvolto mentre era detenuto in Calabria
Le autorità hanno accertato che Pandetta, attualmente detenuto a Rossano, in Calabria, avrebbe manifestato l’intenzione di procurarsi dispositivi mobili all’interno del carcere, offrendo fino a mille euro per ogni telefono. Il caso ha suscitato clamore quando, durante il concerto “One Day” tenutosi il 1° maggio alla Playa di Catania, il trapper Baby Gang ha mostrato un video del cantante catanese. L’episodio ha innescato una perquisizione nella struttura penitenziaria calabrese, durante la quale è stato effettivamente rinvenuto un telefono cellulare nella sua cella. Pandetta sta scontando una pena per reati legati allo spaccio di droga, rissa ed evasione.
Dodici misure cautelari: un’organizzazione criminale nel carcere
Nella notte, i carabinieri del Comando Provinciale di Palermo, insieme a personale della Polizia Penitenziaria di Pagliarelli e del Nucleo Investigativo Regionale di Padova, hanno eseguito dodici provvedimenti cautelari emessi dal GIP del Tribunale di Palermo. Sette degli indagati si trovavano già in stato di detenzione per altre cause.
Le accuse, a vario titolo, includono corruzione, accesso illecito di dispositivi di comunicazione da parte di detenuti, associazione a delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti e spaccio. Le indagini, avviate tra settembre 2023 e aprile 2025, hanno permesso di documentare una rete criminale ben organizzata all’interno della struttura penitenziaria.
Il sistema di corruzione e i metodi criminali
Secondo quanto emerso, l’introduzione di droga e cellulari avveniva grazie a complicità interne ed esterne: familiari durante i colloqui, detenuti con permessi di lavoro esterni o trasferiti da altri istituti, e soprattutto agenti corrotti. I dispositivi e le sostanze stupefacenti venivano poi venduti a prezzi esorbitanti, garantendo profitti fino a dieci volte superiori rispetto al mercato esterno.
Le indagini hanno anche messo in luce un clima di violenza e intimidazione: alcuni detenuti imponevano la loro autorità ricorrendo a spedizioni punitive e atti di prevaricazione, spesso tollerati o agevolati da agenti compiacenti o inerti. Questo clima ha contribuito a creare una situazione di costante pericolo sia per i detenuti più vulnerabili che per il personale penitenziario onesto.
Un quadro inquietante
L’inchiesta getta nuova luce sulle criticità del sistema carcerario italiano, evidenziando come la corruzione e l’assenza di controllo possano trasformare una struttura di detenzione in un luogo dove continuano a prosperare dinamiche criminali. Il coinvolgimento di figure pubbliche come Niko Pandetta amplifica l’eco mediatica di una vicenda che solleva interrogativi urgenti sul funzionamento e sulla sicurezza degli istituti penitenziari del Paese.