PALERMO – Evasioni fiscali da 520 milioni di euro, fatture false che superano il miliardo, tutto sotto gli occhi dell’Europa intera. L’ inchiesta Moby Dick, partita dagli uffici di Palermo e Milano, ha fatto luce proprio su questo, un’associazione con affari internazionali e legami con mafia e camorra.
I pm hanno chiesto e ottenuto dal gip del capoluogo lombardo 47 misure cautelari e sequestri di beni per oltre mezzo miliardo di euro tra Spagna, Lussemburgo, Repubblica Ceca, Slovacchia, Croazia, Bulgaria, Cipro, Olanda, Svizzera ed Emirati Arabi. Nel registro degli indagati sono finite 200 persone e 400 società di mezza Europa.
“È passato molto tempo da quando abbiamo iniziato a far suonare il campanello d’allarme sul forte coinvolgimento di pericolosi gruppi criminali organizzati nelle frodi al bilancio dell’Ue. Al di là dei danni colossali che creano, abbiamo messo in guardia sulla minaccia alla nostra sicurezza interna rappresentata dalla loro attività in questo campo“, ha commentato il procuratore capo europeo Laura Kövesi.
Dalle indagini è emerso il coinvolgimento dei clan camorristici Nuvoletta e Di Lauro e della mafia di Brancaccio nell’enorme business messo su da spregiudicati faccendieri come Rodolphe Ballaera, nato in Belgio, ma con origini siciliane, Paolo Falavigna e Marco Mezzatesta.
Quest’ultimo con una propria struttura organizzativa, con sede a Fiumicino, la Connex Italy srl, manteneva rapporti di collaborazione con gli altri gruppi criminali offrendo loro servizi di brokeraggio.
Le frodi, concentrate nelle vendite di materiale elettronico, in particolare di airpods, venivano realizzate sfruttando il regime di non imponibilità ai fini Iva previsto per le operazioni commerciali intracomunitarie, inserendo in un’operazione tra imprese di Paesi diversi un soggetto economico fittizio che acquistava la merce dal fornitore comunitario senza l’applicazione dell’Iva per poi rivenderla ad un’impresa nazionale con l’applicazione dell’Iva ordinaria italiana.
Invece però di vendere la merce maggiorata del proprio utile e versare l’Iva incassata dalla sua cessione, la società vendeva sottocosto senza versare all’Erario l’imposta indicata nella relativa fattura.
Il danno per l’Unione Europea era costituito dall’Iva indicata nelle fatture emesse dalle “cartiere”, che avevano acquistato la merce senza applicare l’imposta e che la collocavano sul mercato nazionale applicandola invece al compratore, senza però versarla all’Erario, ma ripartendola tra i complici che facevano guadagni enormi.
Lo sapeva bene Tony Lo Manto, mafioso vicino all’ala stragista di Cosa nostra, che, in una intercettazione, confronta i tempi magri delle estorsioni con i veri guadagni.
“Mi sono accontentato certe volte di duecento euro al mese…Io ho smesso di fare determinate cose…lo sai. Questa è un’altra cosa… quindi questo me lo sono preso come il mio lavoro!”.
“Non scherzate più, cambiate il modo di lavorare, cambiate il modo… spersonalizzate le persone perché la Procura Europea è come l’Fbi“, diceva, mostrando di aver ben chiare le cose, uno degli indagati.
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