Da muratore a capitano d’azienda: la scalata al successo di Carmelo Patti

PALERMO – La DIA di Palermo ha dato esecuzione ad un decreto di sequestro e contestuale confisca, emesso dal Tribunale di Trapani – Sezione Misure di Prevenzione (presieduta dal Dr. Piero Grillo e composta dai giudici Roberta Nodari e Chiara Badalucco) su proposta del Direttore nazionale della DIA, nei confronti degli eredi di Carmelo Patti, originario di Castelvetrano (TP), deceduto il 25 gennaio 2016.

Il procedimento in argomento – certamente uno dei più rilevanti nella storia giudiziaria italiana – ha consentito di ricostruire la biografia e le fortune economiche del Patti, il quale si è reso protagonista di una parabola che da muratore indigente lo ha portato a diventare capitano d’azienda.

Il Patti, in possesso della sola licenza elementare, come si legge nell’odierno decreto “…emigra da Castelvetrano per Robbio (PV) il 13 novembre 1960… All’atto della sua partenza… versava in precarie condizioni economiche, non possedeva beni di sorta, svolgeva l’attività di muratore ed aveva tentato di avviare un’impresa, unitamente ad un altro socio, per la fabbricazione di bobine per autovetture FIAT… che però non aveva avuto successo. Al suo arrivo a Robbio avviava un’attività nel settore dell’abbigliamento, con la costituzione di una società di fatto unitamente al padre Giovanni, ma anche questa attività imprenditoriale non aveva successo, e i due soci vennero dichiarati falliti”.

Sulle precarie condizioni economiche del Patti, significativa appare la lettera del 15 novembre 1961, con la quale Carmelo aveva manifestato alla Cancelleria della Corte di Appello di Palermo – Sezione 1^ Civile, che lo aveva convocato, le sue condizioni di estrema difficoltà in cui versava unitamente al proprio nucleo familiare, talmente gravi da non permettergli di affrontare il viaggio per essere presente alle udienze (“…omissis… né io né mio papà potevamo comprare il necessario per mangiare …omissis… quei quattro pezzi di mobilio che avevamo sono stati pignorati…omissis…”).

Con Sentenza del giugno 1962, il Tribunale di Trapani dichiarava Patti “fallito”, mentre il Tribunale di Marsala ne concedeva la riabilitazione civile nel 1963. Proprio in quell’anno costituì, assieme ai suoi familiari, la CABLELETTRA, azienda in cui venivano prodotti componenti per l’industria degli elettrodomestici.

La CABLELETTRA ebbe modo di farsi apprezzare dai primi clienti, la PHILCO (società per la quale aveva lavorato come operaio, appena trasferito a Robbio – PV) e la PATELEC, che lo aiutarono finanziariamente, in modo da potersi inserire in quella nicchia produttiva.

In un secondo momento, coglieva l’opportunità di produrre impiantistica per il più remunerativo settore automobilistico. Seguì l’acquisto di un immobile da destinare alle esigenze della CABLELETTRA che venne trasformata in società di capitali, avendo accesso alla produzione per lo stabilimento di Arese dell’ALFA ROMEO.

Negli anni ’80, quando un disastroso terremoto distrusse alcuni stabilimenti di Benevento della COMIND Sud, che produceva impianti elettrici per la FIAT, quest’ultima affidò sostanzialmente tali commesse a CABLELETTRA. Il Patti decise di continuare a mantenere la produzione in Campania costituendo con altri imprenditori locali la CABLELETTRA SUD, che divenne fornitrice diretta anche di ALFA ROMEO.

Gli anni dal 1985 al 1990 videro CABLELETTRA consolidare il proprio ruolo di fornitore di cablaggi per FIAT. Ciò fu facilitato dagli insediamenti al Sud che godevano di speciali esenzioni fiscali previste per le imprese operanti nel meridione. Nacque allora anche la CABLE SUD S.r.l., con sede a Castelvetrano (TP), nata per supportare la produzione dello stabilimento di Termini Imerese della FIAT.

Le aziende del Patti, nei primi anni ’90, ebbero un ruolo importante nell’assorbimento del personale della FIAT del settore cablaggio, che venne impiegato anche per dare inizio ad attività di co-design (progettazione di impianti elettrici in sinergia con il cliente). Le difficoltà per le sue imprese iniziarono quando FIAT chiese a CABLELETTRA di rilevare le UPA (unità produttive ausiliarie) di Pomigliano d’Arco. Il Patti aderì rilevandone il 50%, costituito da circa 400 operai, che vennero impiegati nella neocostituita SE.L.CA., che rilevò il ramo di azienda.

Di contro, FIAT rispetto ad una prima programmazione di commesse fino a 125 milioni di euro, si assestò su un fatturato di circa 100 milioni di euro all’anno. Unica commessa aggiuntiva fu quella della progettazione della vettura Marea, che sarebbe stata prodotta sia in Italia che in Brasile (da qui la costituzione della CABLELETTRA do Brazil).

Nella realizzazione del cablaggio della Marea il PATTI riferiva di avere privilegiato la esecuzione in Castelvetrano, suo paese d’origine, al fine di portarvi ricchezza. Utilizzò, allo scopo, la CABLE SUD s.r.l.. Lo squilibrio determinato dal mancato afflusso di capitali programmato dalla FIAT, comportò la necessità di ricorrere al credito. Le difficoltà finanziarie lo indussero inoltre a diversificare i settori di investimento, rilevando così SOTIM, che controllava il 70% della ex VALTUR s.p.a. (ora in amministrazione straordinaria).

Da quel momento la crisi finanziaria del gruppo andò aggravandosi, anche perché la FIAT diminuì ancor più le sue commesse, facendo calare il valore effettivo della CABLELETTRA. Questo stato di difficoltà portò a trattative per la vendita di CABLELETTRA a YAZAKI (società madre del gruppo mondiale leader nella produzione e vendita di fili per il cablaggio auto) e la richiesta di una sua amministrazione straordinaria quale grande impresa in crisi.

Puntuali indagini fiscali avviate nel tempo hanno poi permesso di accertare che l’espansione delle aziende del PATTI era avvenuto sfruttando un articolato sistema di evasione fiscale. Un sistema che vedeva al vertice del “Gruppo Imprenditoriale PATTI” sia la CABLELETTRA che la CABLE SUD, le quali avevano ottenuto in appalto dalla Fiat la predisposizione della componentistica elettrica da installare sulle autovetture in produzione. Partendo dal vertice – come detto costituito da CABLELETTRA e da CABLE SUD – l’assemblaggio dei cavi elettrici veniva appaltato ad una molteplicità di aziende più piccole, ubicate nell’area del trapanese, quasi tutte nel territorio di Castelvetrano (TP).

Queste imprese erano tutte collegate fra loro, sia giuridicamente, sia economicamente, sia da vincoli di parentela ed amicizia. Esse partecipavano verticalmente alla catena di produzione nelle diverse posizioni di fornitori, sub-fornitori, sub-sub-fornitori, sia reali che fittizi, delle due “aziende-madri” poste al vertice della piramide. In particolare, le aziende minori, quelle poste alla base della piramide, hanno goduto, nel tempo, di agevolazioni fiscali che consentivano loro di emettere fatture con importi gonfiati alla CABLE SUD, la quale aveva la possibilità, in questo modo, di versare illecitamente meno IVA.

Si trattava, nella sostanza, di imprese fittizie, senza struttura aziendale, molte delle quali riconducibili a soggetti contigui e/o vicini agli ambienti mafiosi. L’indebito risparmio fiscale fornì capitali al PATTI da utilizzare anche per l’espansione nel comparto turistico-alberghiero, già avviato con la scalata alla citata ex VALTUR.

Le indagini svolte dalla DIA negli ultimi anni (coordinate dal Procuratore di Palermo Francesco Lo Voi, dal Procuratore Aggiunto Marzia Sabella e dal Sostituto Procuratore della DDA Pierangelo Padova, in collaborazione con il Sostituto Procuratore di Trapani Andrea Tarondo) confortate dalle dichiarazioni rese dai collaboratori di giustizia Angelo Siino, Giovanni Ingrasciotta ed Antonino Giuffrè e degli accertamenti bancari, hanno evidenziato una rilevante sperequazione fra i redditi dichiarati e gli investimenti effettuati dal Patti, permettendo, altresì di accertare i suoi legami con numerosi personaggi contigui ovvero organici alla famiglia mafiosa di Castelvetrano, capeggiata dal noto latitante Matteo Messina Denaro.

L’attenzione si è focalizzata inizialmente sul coinvolgimento – negli anni ’90 – del Patti in un’indagine per associazione per delinquere finalizzata alla frode fiscale e all’evasione dell’I.V.A., nella quale rimasero coinvolti numerosi personaggi poi risultati vicini agli ambienti mafiosi. Fra coloro che godevano della piena fiducia dell’imprenditore vi era sicuramente Michele Alagna, fratello di Franca Anna Maria, madre di una ragazza di nome Lorenza, figlia (come risulta da atti giudiziari), ancorché non riconosciuta, del latitante Matteo Messina Denaro

Michele Alagna, in particolare, ha ricoperto importanti cariche sociali nelle imprese del gruppo, diventando sindaco – effettivo o supplente -, presidente del collegio sindacale o amministratore di molte società della catena aziendale. Egli aveva, inoltre, delega ad operare su una molteplicità di conti correnti, movimentando somme di rilievo in entrata e in uscita; custodiva gioielli ed oggetti preziosi di proprietà della famiglia Patti conservati in cassette di sicurezza; curava ogni procedura economica d’interesse per le aziende: era, insomma, un vero e proprio alter ego di Carmelo Patti in territorio di Castelvetrano, in nome e per conto del quale era autorizzato a mantenere rapporti con terzi.

Dagli accertamenti emergevano anche collegamenti e rapporti intrattenuti da Patti con Paolo Forte, organico alla famiglia mafiosa diretta da Matteo Messina Denaro, nonché con Rosario Cascio, indiziato mafioso, il cui patrimonio veniva sequestrato e confiscato per iniziativa del Direttore della DIA.

La promiscuità con gli ambienti malavitosi è stata confermata anche ricostruendo le operazioni economiche della CABLE SUD, da cui sono risultati versamenti, prelevamenti e cambi assegni sui conti di alcuni personaggi di rilievo della criminalità organizzata, vicini a Matteo Messina Denaro, tra cui Santo Sacco, ex sindacalista UIL e postino di pizzini del noto latitante, sul cui conto corrente e su quello della sorella Rosanna sono transitate rilevanti somme provenienti dalle aziende coinvolte nella frode perpetrata dalla CABLE SUD.

Ancora, su delega della Procura – DDA di Palermo, venivano svolti accertamenti in merito all’acquisizione del villaggio turistico Punta Fanfalo nell’isola di Favignana (TP), dai quali emergeva come Patti, sempre con l’intervento di Michele Alagna, avesse acquisito il resort attraverso l’intermediazione di soggetti sospettati di essere collegati alla famiglia mafiosa capeggiata da Matteo Messina Denaro.