PALERMO – Mille pagine di giornali e di servizi sui canali social e televisivi hanno fatto dello stupro di Palermo prima e poi di Napoli, uno spettacolo mediatico, ma l’accaduto rende ancor più emergente la crisi educativa della società di oggi e il vuoto dei valori umani e sociali, sommersi dal relativismo, che assorbono ogni comportamento pubblico e privato.
Con la rivoluzione del ‘68 è stato abbattuto il muro delle regole e all’insegna della pseudo libertà di fare quel che si vuole, di vestirsi e agire secondo i propri gusti, spesso espressione di capricci e di condizionamenti dettati dalla moda e dalla pubblicità, si registra un grande vuoto sociale, privo del valore del rispetto, della dignità, della valorizzazione della storia e della cultura, delle tradizioni, diventando “artistici” e “messaggi comunicativi” persino gli sfregi ai monumenti, le parolacce, i disegni osceni.
I femminicidi e i processi
Pur nel cammino verso la parità di genere, la cultura maschilista ancora prevale, come documentano i numerosi femminicidi, continuando a considerare la donna come oggetto di possesso e di piacere.
È questo un risvolto inquietante della stessa società “progredita” che, se da un lato celebra la dignità delle donne, dall’altro continua tranquillamente a esprimere forme inaudite di violenza, verso cui si rimane indifferenti e rassegnati alla tolleranza.
La pubblicità, i film, i programmi televisivi hanno contribuito a rafforzare tale processo degenerativo, proponendo modelli e idoli che diventano segno di esibizione e manipolazione del corpo femminile, ridotto ad oggetto di business e di consumo.
Il laissez faire, il “tanto sono ragazzi” o il “non lo fanno apposta”, hanno prodotto uno stile di comportamento privo di qualsiasi canone di “buona educazione”.
Il decoro dell’abbigliamento, un tempo sacro e obbligatorio, ha ceduto il passo al “non è necessario”, “tanto fanno tutti così”, “ognuno si veste come vuole” senza saper distinguere luoghi, momenti, occasioni che richiedono particolari accorgimenti.
La figura femminile, oggetto di pubblicità, nelle pose e nelle forme più provocanti ha prodotto un’attenzione al corpo, all’esteriorità, all’immaginazione che va oltre la sensualità ed ecco i frutti di tanti comportamenti, veicolati anche da certi videogiochi.
I ragazzi di oggi che “hanno tutto e non sono contenti” sono cresciuti a “pane e pornografia”, desensibilizzati così alla violenza sessuale e alla crudeltà e “bruciati” dalle droghe, dall’alcool, dal crack degenerano in peggiori conseguenze, provocandosi dolorose cicatrici.
Il pansessualismo ha ricondotto l’uomo alla sua dimensione istintiva, al materialismo bestiale che incide le coscienze più deboli prive di una guida e di modelli esemplari.
Le vittime di un deficit educativo
Come si legge in alcune sentenze, gli autori di tali comportamenti vengono definiti “vittime di un deficit educativo”, che li avrebbe condizionati con un’inammissibile concezione pornografica delle loro relazioni con il genere femminile.
La diffusione sempre più dilagante di pornografia cartacea, cartellonistica ed ancor più nei siti web ha reso traboccante la cattiva educazione e le immagini, gli atteggiamenti, le espressioni volgari, spesso ripetute con abitudinaria naturalezza, hanno costruito una crosta di assuefazione a tutto ciò che non si riconosce adeguato alla dignità e al decoro della persona umana.
Si raccolgono oggi i frutti di una carenza e di un vuoto educativo da parte della famiglia, alla quale la Costituzione all’art. 30 assegna come “dovere e diritto” il compito di “mantenere, istruire ed educare i figli”.
La scuola, luogo privilegiato di istruzione e formazione, ha messo al primo posto la trasmissione dei contenuti culturali, trascurando, a volte, gli opportuni interventi educativi verso la formazione integrale dello studente e quindi anche gli aspetti relativi all’educazione alla salute, alla sessualità, all’affettività e al senso civico.
Oggi la trasversalità dell’Educazione civica che tende alla formazione del cittadino, dovrebbe coinvolgere anche queste tematiche, ma non in maniera frammentaria e occasionale.
La giornata del 25 novembre, come ha proposto il Ministro Valditara, sia l’occasione per “avviare in tutte le scuole italiane una serie di programmi per affermare la cultura del rispetto, per educare a un rapporto che sia autenticamente paritario superando quei residui di machismo, di maschilismo che ancora connotano la nostra società”.
Presentata non come “giornata della violenza contro le donne”, bensì come “giornata del rispetto della persona e della dignità della donna”, diventi una vera lezione di vita per tutti gli studenti, promuovendo un efficace apprendimento e una reale modifica del modo di pensare, di sentire e di agire.
Anche la Chiesa in questi decenni ha messo in ombra l’attenzione alla dimensione morale, al senso del pudore, non dando una risposta adeguata all’erotizzazione delle comunicazioni mediatiche, sempre più aggressive e pervasive e ha cancellato dal suo vocabolario la parola “castità”, resa tabù dall’edonismo dominante, un tempo virtù e valore che ha formato i giovani al sacrificio, alla rinuncia, al rispetto e alla pienezza della gioia del matrimonio, integrando la sessualità nella personalità, quale funzione a servizio dell’amore, inteso come dono.
La custodia di sé e dell’altro non è un optional, ma l’unico modo in cui si possa amare davvero, umanizzando il proprio sentire.
“Pensare col cuore e amare col cervello” è la regola pedagogica che ribalta le forme di egoismo e rende equilibrato e produttivo ogni nuovo apprendimento. Scuola, famiglia e società civile, “insieme”, per vincere una battaglia di civiltà.
Articolo redatto in collaborazione con Giuseppe Adernò