PALERMO – Blackout challenge, morte per soffocamento, TikTok: sono queste le parole più ricercate del web dopo il dramma vissuto a Palermo da una bimba di appena 10 anni, vittima di un pericolosa sfida social che, purtroppo, l’ha portata alla morte cerebrale.
Un “gioco”, è possibile morire per quello che dagli occhi innocenti di una bambina è percepito appena come un gioco? Sì, purtroppo, e la maggior parte delle volte quasi senza che qualcuno sospetti il pericolo nascosto dietro un social apparentemente innocuo.
È la pericolosa moda “challenge“, un’ossessione quasi maniacale per le sfide lanciate dal mondo dei social, soprattutto quelli più amati da giovani e giovanissimi. TikTok è in genere un sito che raccoglie persone di ogni età che si divertono a inventare curiosi balletti e scenette divertenti, un passatempo e poco più. Oggi, invece, si è trasformato in un incubo ed è stato il caso di cronaca con Palermo protagonista a risvegliare le coscienze.
Blackout challenge, hangout challenge e la sfida del “soffocamento”
Per capire cosa si nasconde dietro un evento sconvolgente di questa natura bisogna porsi tante domande, ma bisogna soprattutto conoscere.
Cos’è la Blackout challenge, che ha tristemente segnato la vita di una bambina in Sicilia? La chiamano anche “sfida del soffocamento” ed è uno degli innumerevoli orrori che nascono dal mondo di Internet da menti senza scrupoli e pronte a manipolare generazioni intere. La “prova” consiste nel porsi una cintura stretta intorno al collo e resistere per il maggior tempo possibile.
La soddisfazione dopo un atto del genere? Forse il senso di sentirsi onnipotenti quando tutto finisce (sempre che la fine non coincida con la morte o il ferimento), forse una manciata in più di follower… Per quanto sia desolante vedere quanto poco valgano la vita e la sicurezza sul web alle volte, giudicare non è la chiave per capire. Non lo è mai e, di fronte a quanto accaduto nelle ultime ore, sarebbe anche di cattivo gusto e contribuirebbe solo ad amplificare un fenomeno che sta dilagando sotto i nostri occhi ogni giorno.
Le sfide, i pericoli, il mondo social che cambia
Scoprire quello che si nasconde dietro il gesto estremo di una bambina o di migliaia di ragazzini che quotidianamente si avvicinano alle sfide social richiede senza dubbio un esperto. “La mente è un filo di capello”, recita un vecchio detto… Purtroppo la verità di quest’affermazione perseguita la nostra quotidianità senza che ne siamo totalmente consapevoli.
Un momento può cambiare tutto, un pensiero può stravolgere una vita, una paura o un desiderio possono perfino comportare la morte. È la dura verità che va ben oltre il mondo social. Il rischio è alto da sempre, ma su Internet il lato oscuro dei social e dei “giochi” pericolosi ha trovato purtroppo il suo terreno più fertile. E le sue vittime più malleabili.
Ragazzi e bambini non sono stupidi, ma sono ancora personalità in trasformazione e vivono in un periodo complesso, difficile da capire. Un adulto difficilmente comprenderebbe l’importanza di sentirsi “parte del gruppo”, di vincere qualcosa, di volere qualcosa a qualsiasi costo. Questo fenomeno, che molti chiamano “gap generazionale”, non deve però creare un abisso tra giovani e meno giovani, ma essere uno strumento per evitare che un bisogno normale come la socialità si trasformi in una trappola.
Come aiutare i ragazzi
Dialogo: sembra essere questa l’unica chiave per interrompere un meccanismo potenzialmente mortale sul nascere. Sapere cosa fanno i figli sui social e fuori da questi, conoscere e cercare di comprendere difficoltà, parlare e risolvere eventuali problemi: solo questo molte volte può essere abbastanza. Ciò non vuol dire certo che ogni tragedia sia da imputare ai genitori “assenti”: tutto sui social “sfugge” velocemente, si rincorre sempre un’informazione che svanisce in un attimo e spesso quel minimo indizio utile a prevenire non appare mai in tempo. Non c’è nessuna colpa, se non per chi queste sfide horror le crea e le promuove.
Chiedere l’aiuto di esperti per controllare e prevenire è un altro punto chiave della lotta alle sfide come la Blackout challenge: esistono siti web, psicologi, esperti di web security, forze dell’ordine. Rivolgersi a chiunque al primo sospetto può salvare delle vite.
Questa missione è possibile soprattutto se a collaborare sono anche gli “insider“: i giovani che vedono e sanno devono evitare di rispondere con la risata o, peggio, l’indifferenza. Un passo difficile, perché denunciare un qualsiasi problema sul web è complicato: tuttavia, può essere davvero un salva-vita per tanti. E la speranza è che quanto accaduto a Palermo non si ripeta e che l’episodio sia da stimolo per dire stop a un’abitudine che rende la società inerme di fronte a ogni “gioco” che rischia di distruggere numerose vite.
Foto di Solen Feyissa da Pixabay