CORLEONE – Mentre continua la diatriba tra il sindaco di Corleone, Nicolò Nicolosi, e Salvo Riina, figlio dell’ex boss Totò, con il primo che lo vorrebbe lontano dal territorio che amministra, la vera domanda è: la battaglia riguarda il primo cittadino o l’intera comunità? Perché a guardare l’ultimo post pubblicato dall’erede del capo dei capi, sembrerebbe esistere ancora un clima omertoso nel territorio di Corleone. Sono infatti numerosi i commenti positivi che si leggono sotto l’ultima uscita pubblica di Riina Jr: “Mentre a Corleone si dibattono discorsi senza senso, io lontano da casa e da discorsi inesistenti, continuo a conseguire nuovi successi. Da poco ho firmato un nuovo contratto di cessione dei diritti di licenza biografici del mio libro ‘Riina Family Life‘ in lingua Ungherese a breve in uscita. Un grande saluto da Salvo Riina“, è quanto scrive nel suo profilo Facebook il discendete di Riina. Ora, il punto non è appoggiare quella che può essere una persona che nulla ha a che fare con quanto perpetrato dal padre, perché ogni individuo ha una sua storia e per quella deve essere giudicato, ma ciò che viene naturale chiedersi è se sia moralmente deprecabile il fatto di sottolineare il proprio successo attraverso la vendita della storia della propria famiglia che, purtroppo, in questo caso specifico coincide col sangue. Per rispondere al quesito forse è il caso di rinfrescare la memoria e comprendere quali siano alcuni dei capitoli di questa “storia”.
Totò Riina mandante dell’omicidio di Giuseppe Di Matteo
“Io ho detto al bambino di mettersi in un angolo, cioè vicino al letto, quasi ai piedi del letto, con le braccia alzate e con la faccia al muro. Allora il bambino, per come io ho detto, si è messo faccia al muro. Io ci sono andato da dietro e ci ho messo la corda al collo. Tirandolo con uno sbalzo forte, me lo sono tirato indietro e l’ho appoggiato a terra. Enzo Brusca si è messo sopra le braccia inchiodandolo in questa maniera (incrocia le braccia) e Monticciolo si è messo sulle gambe del bambino per evitare che si muoveva” è quanto dichiara il mafioso e collaboratore di giustizia, Vincenzo Chiodo, durante l’udienza del 28 luglio 1998 mentre racconta l’omicidio di Giuseppe Di Matteo di soli 12 anni, il cui mandate è stato Totò Riina.
La “colpa” di Giuseppe è stato quello di essere figlio di un collaboratore di giustizia che i mafiosi volevano mettere a tacere. “Nel momento dell’ aggressione che io ho buttato il bambino e Monticciolo si stava già avviando per tenere le gambe – continua così il suo racconto Chiodo –, gli dice ‘mi dispiace‘ rivolto al bambino ‘tuo papà ha fatto il cornuto‘. Il bambino non ha capito niente, perché non se l’aspettava, non si aspettava niente e poi il bambino ormai non era… come voglio dire, non aveva la reazione di un bambino, sembrava molle… anche se non ci mancava mangiare, non ci mancava niente, ma sicuramente la mancanza di libertà, il bambino diciamo era molto molle, era tenero, sembrava fatto di burro… cioè questo, il bambino penso non ha capito niente. Sto morendo, penso non l’abbia neanche capito. Il bambino ha fatto solo uno sbalzo di reazione, uno solo e lento, ha fatto solo questo e non si è mosso più, solo gli occhi, cioè girava gli occhi”.
“Io ho spogliato il bambino e il bambino era urinato e si era fatto anche addosso dalla paura di quello che abbia potuto capire o è un fatto naturale perché è gonfiato il bambino. Dopo averlo spogliato, ci abbiamo tolto, aveva un orologio da polso e tutto, abbiamo versato l’acido nel fusto e abbiamo preso il bambino. Io ho preso il bambino. Io l’ho preso per i piedi e Monticciolo e Brusca l’hanno preso per un braccio l’uno così l’abbiamo messo nell’acido e ce ne siamo andati sopra”.
“Io ci sono andato giù, sono andato a vedere lì e del bambino c’era solo un pezzo di gamba e una parte della schiena, perché io ho cercato di mescolare e ho visto che c’era solo un pezzo di gamba… e una parte… però era un attimo perché sono andato… uscito perché lì dentro la puzza dell’acido era… cioè si soffocava lì dentro. Poi siamo andati tutti a dormire“, racconta Chiodo.
Questo è uno dei reati commessi dal boss mafioso che è impossibile dimenticare in quanto, queste parole rimbomberanno per sempre nel cervello di chi le legge. Oggi dall’altra parte, c’è il figlio di Riina, che pretende di essere riconosciuto nella sua individualità. Ma la colpa di “Salvuccio” è quella di non aver mai preso le distanze dall’operato del padre e tale atteggiamento fa la differenza quando sei il discendente di un boss sanguinario.
L’appello del sindaco di Corleone
Nei giorni scorsi l’appello è arrivato proprio dal primo cittadino di Corleone, Nicolò Nicolosi, che ritiene inopportuna e non gradita la presenza di Salvo Riina nel territorio del paese in quanto, personaggio pericoloso che sembrerebbe non essersi mai distaccato da Cosa nostra. Il sindaco di Corleone e il Consiglio Comunale hanno infatti approvato all’unanimità l’allontanamento dal paese di Riina jr. Rientrato un mese fa potrebbe essere costretto presto a fare nuovamente le valigie.
Le dichiarazioni di Nicolò Nicolosi
“Corleone vuole smarcarsi definitivamente da un passato di mafia e malaffare, anche allontanando concittadini sgraditi, come ‘Salvuccio‘ Riina, che non ha mai preso le distanze dalle azioni spregevoli del padre Totò e da Cosa Nostra“. Riina e la sua famiglia hanno “provocato alla città un danno d’immagine grave e difficile da recuperare“. Ecco quindi che il sindaco ha richiesto il “celere allontanamento” del figlio del boss, con la speranza che il provvedimento possa diventare presto effettivo.