PARIGI – Sì, è proprio l’Olimpiade francese, quella che abbiamo vissuto nei vari campi. Un grande successo sportivo che ci ha tenuti bloccati davanti alla TV.
Con essa abbiamo vissuto momenti di alta esaltazione, abbiamo condiviso il pianto, la gioia irrefrenabile, il pianto degli sconfitti e dei vincitori. È vero! Vi è stato molto più pianto sia perché alcuni hanno fallito, rispetto alle aspettative, sia per la gioia e la grande emozione vissuta nel momento, di una vittoria, magari inaspettata o sofferta intensamente per i lunghi mesi di allenamento, per poi giocarsela in pochi minuti o secondi.
Ciò che rimane loro, è una medaglia, la immensa emozione e la mancata certezza che tutto ciò fosse solo un sogno. Un pianto che non mi aspettavo è stato quello del tennista Djokovic, un atleta ormai avvezzo alle grandi emozioni; eppure il suo pianto dopo la vittoria, mi ha colpito profondamente, come se avesse raggiunto il sogno della sua vita.
Sono rimasto impressionato nell’osservare i diversi atteggiamenti e le reazioni dei vari atleti: sogni infranti, sogni raggiunti.
Un altro pianto che mi ha colpito profondamente, è stato quello del nostro saltatore Gianmarco Tamberi, ma per motivi opposti. Il suo è stato il pianto di chi si è sentito abbandonato dalla fortuna, o meglio, colpito e osteggiato dalla sfortuna. Eppure lui ha combattuto come sempre per batterla, ma a nulla è valsa la sua forza d’animo.
Queste sono le cose che lasciano il segno su chi assiste agli avvenimenti. Dietro l’immagine di una macchina che non può essere sconfitta, in realtà si nasconde un uomo; un uomo come tutti noi, non una macchina perfetta. Ed è a questi uomini che mi rivolgo, con rispetto.
Abbiamo viste le premiazioni, di certo non molto esaltanti nella forma, ma alla fine ci si ricorderò solo del campione; il secondo ed il terzo, potranno solo esibire le medaglie e basta. Ma il mio pensiero va oltre le medaglie, a tutta la massa che ha fatto da corollario ai vincitori ma che rappresenta la vera essenza delle gare: tutti coloro che hanno partecipato da sconosciuti e che rimarranno degli sconosciuti.
Penso a loro, alle loro fatiche, ai loro sacrifici, uguali e forse, per certi versi, anche più di coloro che hanno vinto: gli eroi invisibili dell’Olimpiade, coloro che hanno pianto e hanno gioito in silenzio, in se stessi.
o proporrei ai futuri organizzatori di impiegare una piccola somma per consegnare a tutti i partecipanti un attestato ufficiale di partecipazione perché possa loro rimanere un ricordo tangibile della loro avventura. Vi sembra una spesa eccessiva o un giusto riconoscimento per i loro sforzi non messi in risalto?
Molte le amarezze ed i rimpianti di avere sbagliato o, peggio, di aver subito dei torti da parte delle giurie. I molti errori dei giudici, hanno bruciato quattro anni di lavoro. Alcuni di questi errori, hanno colpito anche atleti italiani, nel pugilato, nelle attività di lotta, ma quella più eclatante è stata quella che ha messo fuori causa la squadra di pallanuoto di Sandro Campagna.
Io direi che è stato un vero furto cui Campagna ha reagito in modo molto signorile; ma la sconfitta immeritata ha punito tutti. È assurdo che con i mezzi, ormai avanzati, di VAR, si possano commettere errori così visibili ad occhio nudo. Ma a parte ciò, non mi spiego come in manifestazioni di così grande interesse, no vi sia una commissione al di sopra di tutto e di tutti, cui ci si possa rivolgere in caso di controversie difficili da risolvere.
È un’Olimpiade di antico stampo, o appartenente all’epoca dell’intelligenza artificiale? Certi errori plateali non si dovrebbero permettere.
L’Olimpiade dello sport è finita con risultati eccellenti, malgrado la presenza di tipologie sportive che hanno poco di sportivo e molto di spettacolo; non ne elenco per non urtare le persone che praticano queste attività. Forse sarebbe meglio che il CIO, riunendosi, stabilisca una volta per tutte che cos’è lo sport e cosa lo spettacolo, pur coscienti che lo sport sia già spettacolo.
Fin qui tutto bene. L’avvenimento sportivo è sempre bello. Non altrettanto le due manifestazioni: apertura e chiusura. Dell’apertura ne ho già parlato; ero curioso di vedere e sentire le sensazioni che mi avrebbe suscitato la chiusura.
L’impressione che le due manifestazioni fossero state invertite per errore, si è dileguata appena è cominciata la chiusura dei Giochi. Confusione nell’aperture e ancor di più nella chiusura: fai da te, fai ciò che vuoi, ma importante è che ti muovi creando movimento e confusione.
Togliendo quei pochi minuti di solennità nel passaggio delle consegne e dello spegnimento del Fuoco Olimpico, non è rimasto che uno spettacolo di luci, di effetti speciali e di musica; quasi una grande discoteca in cui ognuno faceva ciò che voleva. Se questa è la premessa del nuovo alle Olimpiadi, francamente non mi è piaciuta, a prescindere che ognuno potrà esprimersi in modo differente.
Chi è avanti negli anni ha la possibilità di poter fare dei paragoni fra prima ed ora, mentre per i giovani esistono solo le sensazioni di oggi. Ora, sul vento (e polvere) dell’Olimpiade francese, il futuro mi fa quasi paura. Certe regole fondamentali della cultura Olimpica, non dovrebbero essere stravolte scambiando il tutto ad uno spettacolo, dove manca, come ho detto prima, l’austerità di una tradizione intoccabile: la solennità.
Diversamente, come già detto, cambiamo la dicitura in rassegna mondiale degli sport. Forse sarebbe il tempo di smetterla; non sempre le novità e le sue forzature, come ha fatto la Francia, sono sinonimo di nuovo e di miglioramento.
A cura di Alfio Cazzetta
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