MONDO – Lo scorso 14 dicembre è arrivato nelle sale cinematografiche “Avatar, la via dell’acqua“, il sequel dello storico film uscito ben 13 anni fa.
Il film di James Cameron era da tempo attesissimo e le aspettative erano molto alte. Quest’ultime sembrano oramai soddisfatte dato l’enorme riscontro mondiale ottenuto. Ma l’uscita della pellicola ha riportato in luce una questione già nata nel 2010, vale a dire una sorta di depressione post-visione (PADS).
Si è registrato infatti – in occasione di entrambi i film – una grande fetta di pubblico che è rimasta particolarmente colpita dalla visione del film, sviluppando una eco-fobia. La pellicola porta a riflettere sul rapporto tra la natura e gli esseri che abitano un pianeta, questo potrebbe dunque far smuovere gli animi degli spettatori arrivando alla conclusione che l’essere umano è sempre meno in connessione con la propria Terra, cosa che invece gli avatar vivono in modo completamente opposto.
La fobia e la “depressione” che nasce sono frutto di una paura verso il futuro, del distaccamento completo dalla propria origine e dall’angoscia che il nostro pianeta – come sta già accadendo – ci si rivolti contro.
A tal proposito, ai microfoni di NewSicilia è intervenuta la psicologa e psicoanalista Valentina Gentile, che ha permesso di rendere più chiaro quale sia il rapporto tra audience e film.
Di seguito è riportata l’intervista integrale con l’esperta.
L’intervista con la psicologa Valentina Gentile
1: Recentemente nelle sale cinematografiche è uscito il film sequel di Avatar. In questa pellicola sembra che gli abitanti del pianeta Pandora – degli esseri che sono una via di mezzo tra uomini e creature fantastiche, con la pelle blu – abbiano una grande connessione con la natura. Difatti, è stato registrato che circa un 10% di coloro che hanno visto il film sviluppano usa sorta di depressione post-avatar, già nota nel primo film e messa in rilevanza dallo psichiatra Stephan Quentzel alla CNN nel 2010, riguardante proprio il fatto che il nostro legame con la natura è sempre più debole. Secondo lei è possibile che un film possa portare tanta angoscia in una persona?
- “Personalmente non so se si possa parlare dell’insorgenza di una vera e propria depressione dopo la visione di un film. Tuttavia, posso dire che le due discipline – Psicoanalisi e Cinema -, in un certo senso sono connesse fra loro. Nel senso che entrambe, attraverso una sequenza di pittogrammi, sono impegnate a rappresentare le immagini dell’inconscio. Nella fattispecie, durante la visione di un film, immagine e immaginazione coincidono, dove la realtà e la finzione cinematografica si sovrappongono. In un certo senso si sogna il proprio film, mentre lo si guarda, ma ognuno a modo proprio. Tento di spiegarmi meglio: lo studio degli aspetti emozionali del cinema ha inizio con la Psicoanalisi ed in particolar modo Cesare Musatti ha descritto il fenomeno degli ‘Attacchi di angoscia cinematografica‘. Pertanto, può esistere un rapporto tra schermo e spettatore, che mette in moto meccanismi inconsci. Il film diviene oggetto esterno e interno, nel senso che sia durante, che e a seguito della sua visione, possono emergere diversi sentimenti, come angoscia, paura, felicità, speranze etc. che ci appartengono e ci rappresentano, ovverosia, la visione di un film può sollecitare diverse emozioni di cui alle volte non siamo totalmente consapevoli. Questa influenza psichica avviene grazie a due meccanismi fondamentali. La proiezione (processo per cui si attribuiscono agli attori idee e aspirazioni che sono nostre) e l’identificazione (lo spettatore assimila l’aspetto e i sentimenti dei protagonisti). Tuttavia, alle volte, può accadere che l’identificazione può essere così intensa da indurre gli spettatori (ad esempio i giovani, persone molti sensibili etc.) a imitare, anche nella vita, gli atteggiamenti e l’abbigliamento dei loro idoli. Altresì, la forza suggestiva del film può essere esaltata dal buio, dallo scarso contatto fisico con gli altri e dalla situazione comoda e confortevole delle poltrone. Pertanto, attraverso questi molteplici processi psichici e fisiologici, lo spettatore si trova in una situazione di rilassamento paraonirico, analogo, in un certo senso, a quello che sperimentiamo durante il sogno“.
2. È possibile che un film riesca a cambiare delle persone? Dunque, secondo lei una persona, dopo aver visto film di questo tipo con tematica ambientale, potrebbe davvero cambiare il suo comportamento nei confronti del nostro pianeta? O è solo una sensazione temporanea?
- “Credo che la potenza esercitata dal cinema, così come ogni forma di arte, può essere molto intensa, tale da innescare molti vissuti, così come dicevo precedentemente. Il cinema può essere utilizzato per sensibilizzarci su alcune tematiche ed essere utilizzato in alcuni contesti, per creare senso e pensabilità, poiché coinvolge anche a livello emotivo i partecipanti“.
3: In questo film, attraverso un Avatar artificiale, alcuni esseri umani hanno la possibilità di vivere una vita completamente diversa dalla loro. A tal proposito, si può segnalare la cosiddetta “sindrome dell’avatar”, pare che sia stata analizzata in psicoanalisi da D. W. Winnicott e H. Kohut. In questo caso però, sembra che in questa sindrome la persona indossi come una maschera, potrebbe spiegarci meglio?
- “Entrambi gli autori non hanno parlato di ‘sindrome dell’avatar’. Sia Kohut, che Winnicott concepiscono il Sé come qualcosa che dipende dall’ambiente, che può farlo crescere o arrestare a seconda di determinate caratteristiche di esso. Nella fattispecie Winnicott (1960) pensa che vi sia un Sé ‘potenziale o nucleare’, una sorta di potenzialità ereditaria, nel senso di continuità dell’esistenza, ovverosia di poter acquisire, a modo proprio, con i propri tempi una realtà psichica e una schema corporeo personale. È da questa concezione del Sé che si origina la proposta dell’autore di distinguere tra un vero Sé e un falso Sé. Il vero Sé sarebbe il ‘gesto spontaneo’, l’idea personale, il sentirsi reale e creativo. Il falso Sé, si crea quando il bambino non ha una corrispondenza materna, quando l’ambiente si è rilevato molte volte inadeguato costringendolo a subire una realtà esterna frustante, in cui non è stato colto e valorizzato il gesto del figlio, ma ha sostituito il proprio gesto, chiedendo al figlio di dare ad esso un senso tramite la propria condiscenda. Mediante il falso Sé il bambino si crea un sistema di rapporti falsi che sembrano reali, egli diventa ‘proprio come la madre, la balia, la zia, il fratello e qualsiasi persona che in quel momento domini la scena’. La parola avatar, ormai molto diffusa ad esempio nei giochi di ruolo virtuali e non solo, dove compaiono personaggi dalle diverse sembianze, alle volte utilizzati come alter ego dei vari partecipanti, sostituendoli nelle azioni di gioco. Infatti, avatar è utilizzato anche come sinonimo di ‘personalità digitale‘. Il suo etimo deriva dal sanscrito, col significato di incarnazione, o meglio, discesa in terra della divinità. Forse, il suo significato originario, potrebbe spiegarci comportamenti che non si riescono ad avere nella vita reale, ma che compaiono solo nella realtà virtuale“.
4: Nel film, alcuni di questi esseri umani rimangono per il resto della loro vita nel mondo fantastico di Pandora – quindi restano degli Avatar – , secondo lei questo potrebbe essere un messaggio volto al ritrovamento della propria vera identità?
- “Non so se questo possa essere un messaggio volto al ritrovamento della propria vera identità. Pandora, può rappresentare un luogo utopico, un altrove, un’Isola che non c’è, dove si compiono gesta mirabili. Forse rifugiarsi nel mondo di Pandora potrebbe rappresentare una difesa, una fuga dalla realtà. Mi piace pensare al fantastico mondo di Pandora in maniera mitica, nel senso che forse proprio il famoso mito, secondo il racconto tramandato dal poeta Esiodo, può esserci di aiuto. Il vaso di Pandora è nella mitologia greca, il leggendario contenitore di tutti i mali che si riversarono nel mondo dopo la sua apertura. Analogamente, credo che James Cameron, con forza metta in luce le difficoltà del nostro pianeta, che non possiamo più celare: il vaso di Pandora è stato aperto. Gli avatar rimasti su Pandora che vivono a contatto e contatto con l’ambiente, possiamo essere ognuno di noi, nel senso che, non occorre essere degli avatar per prenderci cura del mondo, ma che nel proprio piccolo, ognuno di noi, può fare grandi cose. E così, come nel vaso di Pandora, una volta aperto e visti tutti i mali, in fondo ad esso, così come nel mito, possiamo scoprire e riscoprire Elpis: la speranza“.
5: Ci sono metodi per migliorare il rapporto con sé stessi? Qual è la via migliore per “ritrovarsi”?
- “Credo che un sano equilibrio psicofisico nell’individuo cominci con l’ascolto e la presa di coscienza di sé. Nel senso che essere consapevoli dei propri bisogni, desideri, emozioni e sentimenti sia di vitale importanza, per poter dare alla luce se stessi. Credo altresì, che questo processo sia alle volte un percorso doloroso, ma sicuramente di crescita, che volge verso l’autenticità dell’Essere. Ascoltarsi può essere utile per comprendere ciò che desideriamo davvero e quindi, metterci in moto per scoprire cosa e come fare per raggiungere la nostra meta“.
Foto dall’account ufficiale Instagram del film