MONDO – Riavvicinarsi alla comunicazione con il mondo è ora possibile grazie a un sistema innovativo che collega il cervello a un dispositivo esterno, spesso un computer potenziato dall’intelligenza artificiale.
Questo sistema traduce i segnali dell’attività cerebrale in parole ed espressioni, permettendo così un dialogo rapido e naturale. Inoltre, è in grado di simulare la voce originale dell’individuo e creare una sorta di “avatar” visibile sullo schermo del computer.
La storia di Bennett
La protagonista di questa straordinaria storia è Pat Bennett, oggi 68enne e ex direttrice delle risorse umane.
Nel 2012 le è stata diagnosticata la SLA, una malattia neurodegenerativa progressiva che colpisce i neuroni responsabili del controllo dei movimenti, portando a una graduale debolezza fisica e paralisi.
Nel caso di Pat, il deterioramento è avvenuto nel tronco encefalico: sebbene sia ancora in grado di muoversi e utilizzare le dita, non può più controllare i muscoli coinvolti nel processo del parlare.
Fondamentalmente, il suo cervello è in grado di formulare pensieri e indicazioni, ma i muscoli non riescono più a tradurli in azioni.
La svolta nella vita di Bennett
Il 29 marzo 2022, un neurochirurgo dell’Università di Stanford ha impiantato due piccoli sensori, grandi quanto una pillola, in due regioni del cervello coinvolte nella produzione del linguaggio.
Pat è diventata la figura chiave di una sperimentazione condotta dai ricercatori dell’Università della California a San Francisco e Berkeley.
I risultati di questa sperimentazione sono stati pubblicati sulla prestigiosa rivista scientifica “Nature“.
Le parole dei ricercatori
I sensori, alla base del sistema, “sono componenti di un’interfaccia cervello-computer intracorticale, o iBci – spiegano i ricercatori – Il sistema combinato con un software all’avanguardia di decodifica, con intelligenza artificiale, è progettato per tradurre in parole su uno schermo l’attività cerebrale che accompagna i tentativi di parlare”.
Circa un mese dopo l’intervento, il team di scienziati della Stanford ha avviato le sessioni della sperimentazione due volte a settimana “per addestrare il software che interpretava il discorso della Bennett. Dopo quattro mesi – evidenzia la ricerca – i tentativi di espressione della paziente venivano convertiti in parole sullo schermo di un computer alla velocità di 62 al minuto, oltre tre volte più veloci del record precedente per la comunicazione assistita dalla ‘intracortical brain-computer interface’ (iBci)”.
Gli autori dello studio sottolineano che, sebbene non si tratti ancora di un dispositivo prontamente utilizzabile nella vita quotidiana, questo rappresenta un notevole passo avanti nel ripristino di una forma di comunicazione rapida per le persone paralizzate e prive della capacità di parlare.