Nel 2024 parliamo ancora di guerra, l’intervista al Generale di C.A. Giovanni Ridinò

Nel 2024 parliamo ancora di guerra, l’intervista al Generale di C.A. Giovanni Ridinò

Nel 2024, il termine Guerra, ancora, appare in prima pagina nei giornali e i tele giornali di tutto il mondo. Proprio così, nel 2024 parliamo ancora, tutti i giorni, di morti in guerra, di bilanci di vittime, senza vedere alcuna luce di pace in fondo al tunnel. Per capire di più, sull’attuale situazione geopolitica mondiale e sugli attacchi bellici che coinvolgono persino l’Europa intera e l’Occidente, con l’instancabile attacco sovietico all’Ucraina e l’infinita crisi mediorientale, abbiamo rivolto al Generale di Corpo D’Armata, in riserva dal 2014, Giovanni Ridinò, alcune domande sull’attuale e scottante problema che coinvolge le sorti dell’intero pianeta.

L’intervista al Generale Ridinò

Giovanni Ridinò, siciliano, nato a Messina è stato impegnato per quasi un anno in Bosnia Erzegovina dove ha svolto l’incarico di Vice Comandante della Divisione Multinazionale Sud-Est. Rientrato in Italia è stato chiamato ad assumere l’incarico di Comandante del Comando Militare Autonomo della Sicilia e Comandante Interregionale Sud per il Reclutamento e le Forze di Completamento. Successivamente è stato comandato a fornire la sua collaborazione presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri come esperto dell’Unità Tecnico–Operativa per i Balcani per dare applicazione operativa alla legge n.84/2001 per il coordinamento degli interventi dell’Italia nell’area balcanica.

È stato Vice Ispettore per il Reclutamento e le Forze di Completamento dell’Esercito e Comandante del Raggruppamento Addestrativo. In contemporanea con il principale incarico di Vice Ispettore RFC dell’Esercito, dal marzo 2003 e fino al 30 luglio 2004 ha assunto anche la Presidenza del Comitato NATO delle Forze della Riserva Nazionale (NRFC), dando un significativo ed ampiamente riconosciuto contributo alle attività del Comitato per la produzione di studi e documentazione di grande interesse per lo Stato Maggiore Internazionale dell’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico.

Il 2 settembre 2005 assume l’incarico di Comandante del Comando Forze di Difesa (1°). Il 18 settembre 2006 lascia il comando in Vittorio Veneto per assumere l’incarico di “Direttore della Cellula Strategico Militare dedicata ad UNIFIL” presso le Nazioni Unite in New York.

Signor Generale Giovanni Ridinò, lei ha avuto una carriera lunga e ricca di esperienza, in italia e in giro per il mondo. Oggi, le guerre che condizionano l’intero pianeta appaiono incantesimate, senza alcun senso e nessuno riesce a spegnere; lei, dopo una vita attiva nelle Forze armate, oggi, davanti ad un panorama bellico così atroce per il folto numero delle vittime che avvengono giornalmente, persino in Nazioni evolute che dovrebbero, quantomeno loro, considerare la guerra di oggi, il prologo di una nefasta operazione nucleare.

La guerra in Ucraina che si trascina nel tempo con uno sperpero di risorse e di vite umane, la guerra nella striscia di Gaza, i cui esiti sembrano delineare un quadro di impossibile convivenza tra Israele, Palestina e mondo arabo, l’azione degli Huthi contro il traffico navale nel Mar Rosso, mettono in seria apprensione l’Europa ed il mondo occidentale. Tutte queste situazioni di crisi sembrano scollegate tra loro. In realtà mi viene da pensare ad una regìa dietro le quinte che, in modo più o meno palese, cerca di governare gli eventi attizzando o smorzando focolai di tensione e situazioni incancrenitasi nel tempo. Il grande manovratore va cercato in estremo oriente e nel disegno strategico di dare al mondo una governance diversa da quella basata sul dollaro USA e sulle maggiori economie dell’Occidente. Un’operazione che non può essere attuata con uno scontro diretto tra grandi potenze e nemmeno in tempi contratti“.

La guerra in Ucraina, sicuramente è dovuta ad astio e rancori passati, ma sempre e per nulla ingiustificabili.

La guerra tra Russia ed Ucraina trova le sue origini nella caduta del muro di Berlino e nello smembramento dell’Unione Sovietica. L’approccio degli USA avrebbe dovuto essere, a mio avviso, meno arrogante e più collaborativo per trovare i giusti equilibri nella situazione che si era creata. Si è invece trattata, a mio parere, la Russia come fosse il nemico da tenere sotto scacco e non si è voluta leggere, con attenzione, la storia con le sue implicazioni che la caduta di un impero, come quello sovietico, avrebbe comportato. Gli accordi, non scritti, intercorsi tra Gorbaciov e Reagan e i leader dei paesi della NATO di non espansione verso est, vennero subito traditi, per il desiderio dei paesi satelliti dell’ URSS “più europei” di essere coperti dallo scudo protettivo dell’Alleanza Atlantica contro un eventuale ritorno dell’opprimente regime sovietico. Il mondo  occidentale aprì subito le braccia a Polonia, Ungheria, Cecoslovacchia, includendole nel Patto Atlantico, anche per un certo debito morale, nei loro confronti, per averle abbandonate, senza sostegno, durante le repressioni con i carri armati, dovuti ai tentativi di rivolta per ottenere una qualche forma di democrazia e di libertà. Il mancato sostegno alla crisi economica che la Russia ha attraversato dopo il dissolvimento del Patto di Varsavia, l’espansione ulteriore della NATO, lo schieramento di missili a lungo raggio in Polonia, giustificato con il contenimento ed il controllo delle mire espansionistiche dell’Iran, hanno ‘umiliato’ il sentimento di potenza mondiale della Russia di Putin“.

Lei, signor Generale ha vissuto in servizio quegli anni di espansione della Nato e il dissolvimento del Patto di Varsavia.

Gli USA dopo il dissolvimento dell’URSS, hanno pensato di assumere il ruolo di ‘sceriffo del mondo’ e si sono comportati come tali pensando di dettare le leggi economiche e di esportare ‘democrazia’ anche con la forza. Vietnam, Iraq e Afganistan sono gli esempi dei fallimenti degli Stati Uniti e di come le promesse iniziali vengano, poi, miseramente non mantenute e gli alleati spinti, inizialmente, a fidarsi, abbandonati, poi, al revanscismo dei gruppi di potere dominanti. L’Ucraina rischia di fare la stessa fine; invogliata a resistere all’invasione della Russia di Putin, con aiuti militari ed economici, sarà, fra non molto, abbandonata al suo destino. Gli errori, a mio avviso, si ripetono. La questione della Crimea con i territori ‘russofoni’ avrebbe dovuto essere affrontata con la ricerca di compromessi e di forme di autonomia. L’attacco all’Ucraina sembra aver colto di sorpresa gli USA e la NATO. Eppure bastava ricordare le tattiche previste dalla dottrina sovietica che prevedevano di iniziare l’assalto all’occidente, simulando delle grandi esercitazioni al confine per passare dalla fase addestrativa a quella di assalto reale. È quello che Putin ha materialmente messo in atto. Sostenere che l’Ucraina vincerà contro la Russia è un non senso. Potremo inviare fondi e materiali bellici ma, a mio parere, non può esserci vittoria in un conflitto che si può definire di natura asimmetrico. La Russia può bombardare impunemente tutta l’Ucraina e la sua capitale, ma a Kiev non è consentito fare altrettanto per evitare uno scontro diretto tra Russia e NATO.  Il conflitto finirà per ‘stanchezza’ ed esaurimento delle forze disponibili. L’occidente non può sostenere l’Ucraina con gli ‘scarponi’ (unico vero strumento per completare l’occupazione materiale del territorio) perché non ha intenzione di mandare i suoi uomini e le sue donne a morire nelle pianure ucraine“.

Signor Generale, lei ha detto: “L’Occidente non può sostenere l’Ucraina con gli ‘scarponi’”, ma la Russia è nelle condizioni di continuare questa assurda guerra, con il pericolo che scateni un coinvolgimento di altri stati del Nord Europa e ahimè anche del Centro sud?

La Russia, che è riuscita a riprendersi dalla crisi successiva alla caduta del muro di Berlino, grazie alle risorse di petrolio e gas di cui è ricca, avrebbe potuto porre fine al conflitto in modo rapido, chiudendo con immediatezza, dopo le prime sanzioni, il flusso di gas e petrolio verso l’Europa e convincendo a fare altrettanto anche i Paesi dell’Africa che gravitano nella sua sfera di influenza. Questo avrebbe causato l’esaurimento delle scorte, il blocco delle produzioni ed avrebbe gettato l’Europa in una crisi inimmaginabile“.

Un errore di pianificazione, o un’azione voluta?

Mi viene da pensare che il grande manovratore dietro le quinte non lo ha permesso perché sarebbe stato controproducente per le economie e per il gioco sottile che sottende il disegno strategico della creazione del nuovo ordine mondiale. Il conflitto russo-ucraino, a mio avviso, era stato preparato e non ostacolato per saggiare la reazione dell’Occidente. Premessa di una analoga azione della Cina su Taiwan? Non lo escluderei. GUERRA ISRAELE-HAMAS. Il conflitto in atto e l’ultimo di una serie di guerre locali che si sono sviluppate nell’area dal 1947, quando le Nazioni Unite votarono, in seguito allo sterminio di gran parte degli ebrei europei durante l’Olocausto, per la spartizione del mandato della Palestina in due Stati: uno ebraico (Israele) e uno arabo (che non decollò). Il mondo arabo ricorda quel momento con il nome di nakba, che significa letteralmente disastro o catastrofe. Si tratta dell’ esodo forzato di circa 700mila palestinesi in 58 campi di accoglienza distribuiti tra Giordania, Gaza, Cisgiordania o West Bank, Siria, Egitto e Libano. Un gruppo più piccolo di campi è stato creato dopo la guerra dei ‘Sei Giorni’ del 1967. In entrambi i casi i campi, pensati per essere temporanei, sono diventati città costruite, con strutture in muratura, in modo disordinato, nel corso dei decenni. Campi lasciati, a mio avviso, in situazione di assoluto degrado senza possibilità o volontà di integrazione per un disegno perverso, quello di creare dei siti di coltivazione dell’odio verso lo stato ebraico e per utilizzarne le forze umane come soldati da reclutare per ogni situazione di conflitto e per l’attuazione di atti terroristici. In Libano, ad esempio, i campi profughi sono delle aree autogovernate dove le forze armate o gli organi di polizia dello stato libanese non hanno accesso. È del tutto evidente come queste città sono diventate delle polveriere e basi logistiche delle varie sigle Fatah, Isis, Hezbollah, Hamas“.

Israele vive da tempo, in uno stato di continua tensione, per gli attacchi che arrivano improvvisi, ma, adesso, anche la Palestina.

Israele, che vive il terrore per le strade, sui mezzi pubblici, sui confini; circondato da paesi ostili e votati al non riconoscimento dello stato ebraico e della sua distruzione, deve affrontare ogni possibile attacco per la sua stessa sopravvivenza. Dopo una guerra con il Paese vicino e con la distruzione delle basi dei gruppi armati, continua il sostegno economico e ideologico a Gaza, da parte dei paesi arabi, Iran in testa, per la ricostruzione materiale di quanto è stato distrutto nei combattimenti (prioritariamente di carattere militare) ed il rifornimento di armamenti per il successivo attacco contro lo Stato ebraico. Gaza e l’esempio di dove vanno a finire gli aiuti economici, anche dei cittadini italiani. Costruzione di tunnel sotterranei per la protezione dei combattenti e per gli attacchi mirati al territorio israeliano, senza curarsi del benessere della popolazione che è, invece, usata come scudo umano da immolare sull’altare della propaganda internazionale. Quale limite deve avere la pazienza di un popolo che vive nella continua ansia del prossimo attentato e del prossimo attacco ai confini? Non ci può essere pace quando uno dei contendenti ‘NON LA VUOLE’. Nell’area di crisi medio orientale gli interventi pacificatori si sono succeduti nel tempo. Le richieste dei ‘palestinesi’ sono sempre state al rialzo. Ogni volta che si vedeva un barlume di speranza in fondo al tunnel, la parte avversa ha sempre alzato la posta“.

Ma la strategia dell’Onu non prevede interventi concreti?



Gli interventi dell’ ONU sono stati molteplici ma tutti insignificanti. ‘Osservare’ e ‘riferire’ non ha alcun senso se poi non si attuano interventi dissuasori. In questa polveriera, pronta ad esplodere in ogni momento, ci siamo impelagati anche noi nel turno di guardia senza una scadenza. Nel 2006, Hezbollah, osservato speciale da lungo tempo (ne aveva parlato anche Oriana Fallaci che invitava ad andare a vedere le finte ville, cresciute come funghi, lungo il confine Libano-Israele) ha pensato bene di scatenare un attacco consistente contro lo stato ebraico. Eppure le segnalazioni dei militari dell’ONU erano quasi giornaliere ed evidenziavano le esercitazioni continue dei guerrieri del ‘partito di dio’, effettuate anche a fianco delle postazioni dell’ ONU. Ancora una volta, Israele è dovuta intervenire in modo massiccio per allontanare una consistente minaccia. Come ormai accertato anche a Gaza, i nuovi terroristi, in barba ad ogni convenzione internazionale, utilizzano ospedali, scuole, moschee per occultare i loro arsenali, i loro comandi, le loro postazioni lanciarazzi. Nell’attacco israeliano anche un nostro ufficiale, osservatore dell’ONU, e stato seriamente ferito. E ancora una volta il mondo ha gridato e si è mosso per fermare Israele. Il governo ‘Prodi’, appena insediatosi, aveva pensato bene di dare sostanza in modo palese ‘alla svolta del cambiamento’ rispetto al precedente governo Berlusconi. Cambiamento che voleva evidenziare, tra l’altro, la differenza nelle priorità di adesione agli organismi internazionali da NATO, Europa, ONU a ONU, Europa, NATO. Per rimarcare questo cambiamento ha, prima, ritirato il contingente italiano in Iraq (operazione a guida NATO) ed ha convinto la Francia a sostenere l’intervento dell’ONU per riportare la pace nel confine libanese“.

Pensa che fu una scelta giusta e razionale?

Una scelta, a mio parere, poco felice perché significava essere coinvolti in una situazione di interposizione tra due Forze avverse senza una visione di ‘exit’ che ci avrebbe incastrato per gli anni a venire. Bastava solo ricordarsi che l’Italia era già presente nell’ area in una missione ONU dal 1973 con un gruppo di elicotteri. Per la prima volta l’ONU ha dovuto gestire una operazione militare del tipo di ‘peace enforcement’, operazioni, queste, generalmente, delegate ad organismi militari internazionali già costituiti (NATO) o da costituire in relazione al teatro di operazioni. Per la prima volta l’ONU ha dovuto anche gestire una flotta per garantire la sicurezza di Israele dal mare. L’Italia aveva, da subito, inviato davanti alla coste israeliane la nostra porta aeromobili ‘Garibaldi’ per convincere Israele a sedersi al tavolo delle trattative. Oggi siamo presenti con un contingente di un migliaio di uomini e donne nell’operazione ‘UNIFIL’ lungo il confine libanese-israeliano, con il grande rischio di essere coinvolti nelle azioni di ritorsione da parte di Israele contro gli attacchi di Hezebollah“.

Si è vero, è stata data persino la notizia di minacce terroristiche all’Italia, dal Ministro degli Esteri Taviani. Ma il Contingente Unifil, in quel confine, rischia molto?

Azioni orchestrate da un altro manovratore regionale (Iran). È di tutta evidenza che la presenza del contingente internazionale e delle Forze libanesi (per la prima volta, dopo gli accordi del 2006, a sud del Libano. Il territorio lungo il confine di Israele era stato lasciato sotto il controllo delle forze di Hezbollah. Come dire che, in Italia, la Sicilia venisse affidata alla responsabilità della mafia) non riesce ad impedire le azioni di Hezbollah che continuano ad attaccare il territorio israeliano. Bisogna evidenziare la linea diretta che lega l’Iran alla Russia, in special modo per la fornitura di droni e di munizionamento per sostenere l’attuale conflitto con l’Ucraina, che fa sorgere il dubbio di una concomitanza di eventi, generati nel momento in cui si profilava un possibile avvicinamento tra Arabia Saudita ed Israele, per mettere in difficoltà gli USA e l’Europa, con altro focolaio di crisi vicino al vecchio continente. Il conflitto a Gaza, che Israele vuole portare fino alla completa sconfitta di Hamas, ha un costo in vittime civili che sta mettendo in secondo piano l’umiliazione subita dallo stato ebraico il 7 ottobre 2023. Hamas si aspettava un consistente sostegno da parte del mondo arabo che e rimasto un po’ a guardare, ad eccezione dell’Iran che ha aizzato e sostenuto l’azione di Hamas pur rimanendo un pò a distanza e continua a soffiare sul fuoco per mezzo di altri attori (Hezbollah e Huthi)“.

A proposito degli Huthi, non pensa che quest’altro attacco alle navi sul mar Rosso possa diventare una azione terroristica che durerà a lungo termine e mettere in crisi l’ intera Europa?

Gli Huthi sono un gruppo yemenita di fede sciita zaidita. Lo Yemen ha vissuto momenti di grande instabilità interna con insurrezioni e azioni di repressioni da parte di gruppi e clan contrapposti. Il gruppo si rivelò, in tempi più recenti, in occasione dell’ invasione statunitense dell’Iraq. Gli Huthi hanno organizzato violente proteste con le quali scandiscono, per la prima volta, gli slogan antistatunitensi e anti-israeliani che diverranno poi parte del loro motto ufficiale (≪Dio e sommo, morte all’America, morte a Israele, maledizione sugli ebrei, vittoria per l’Islam≫). Lo Yemen era allora amministrato dal regime di Saleh alleato degli Stai Uniti che cerca di contrastare le proteste con azioni repressive. Ne nasce uno scontro fratricida durato anni. È in questo periodo che avviene un avvicinamento con l’Iran per la fornitura di armi e denaro. L’esercito ha tuttavia un vantaggio materiale tale da costringere i ribelli a una tregua che riporta la situazione a un fragile equilibrio, almeno fino alla ‘primavera araba’. Come nel resto del Medio Oriente, nel 2011 scoppiano infatti anche in Yemen proteste contro la dittatura e le condizioni di vita miserrime nel Paese. Saleh ha dovuto cedere il potere e, a poco a poco, gli Huthi hanno approfittato della situazione per entrare dei palazzi di San’a’. L’Arabia Saudita, preoccupata della scalata al potere degli Huthi e dai loro legami con gli sciiti iraniani, aveva avviato, già dal 2015, una campagna di bombardamenti spesso malguidata e sanguinosa. L’impiego di mercenari sul terreno non ebbe risultati migliori e nel 2022 si arrivò a un nuovo ‘cessate il fuoco’ e tale da cristallizzare la presa degli Huthi sul potere e vede lo Yemen diviso in tre parti: il Nord-Ovest sotto il controllo degli Huthi e il resto al governo riconosciuto internazionalmente e al Consiglio di Transizione del Sud . È verosimile, a mio parere, che il regime iraniano dopo aver dato il via libera ad Hamas per l’azione del 7 ottobre, li stia, ora, usando come arma di pressione sull’occidente per contenere l’irruenza israeliana nella striscia di Gaza. Gli Huthi all’inizio hanno utilizzato missili balistici e droni diretti contro Israele, ma la grande distanza ha reso poco efficaci questi attacchi. Cosi gli Huthi hanno deciso di colpire un punto strategico del commercio mondiale. Sfruttando la loro posizione privilegiata sulla riva orientale dello stretto di Bābel-Mandeb ed hanno iniziato a colpire i navigli commerciali legati a Israele o ad armatori israeliani in navigazione da e per il Canale di Suez, passando poi ad attacchi indiscriminati“.

Generale, ma gli statunitensi con gli attacchi allo Yemen non peggioreranno la situazione sul mar Rosso?

Le stesse unità navali statunitensi si sono dovute difendere dagli attacchi lanciati dagli Huthi. Adesso si è giunti a una campagna di bombardamenti statunitensi e britannici contro le infrastrutture yemenite, per l’occasione sta partendo la missione europea ‘Aspides’. Questa sarà una missione navale puramente difensiva, a differenza di quelle condotte da Gran Bretagna e Stati Uniti. Oltre alle fregate marittime, è stato annunciato che la missione potrebbe essere integrata con controlli aerei con lo scopo di sorveglianza e raccolta dati, escludendo però in modo categorico interventi militari terrestri. L’Unione Europea ha chiesto proprio all’ Italia di guidare l’operazione tramite il Force Commander, ossia l’ufficiale ammiraglio al comando delle navi che vi prenderanno parte. L’Italia invierà la fregata ITS Frederico Martinengo, che prenderebbe il posto della Virginio Fasan, presente da dicembre nella regione, o il cacciatorpediniere Caio Duilio, unità, questa, nata proprio per coordinare questo tipi di azioni. La missione e stata annunciata con il solo scopo di assicurare il corretto funzionamento del commercio internazionale, ma per questa ragione può prevedere l’uso della forza per rispondere agli attacchi degli Houthi, consentendo, dunque, di aprire il fuoco seppur per scopi difensivi“.

Adesso, nel panorama bellico mediorientale entra lo Yemen, in tono piuttosto energico.

Il gruppo yemenita ha dimostrato nel tempo di essere piuttosto agguerrito e se sollecitato non penso che demorda dal portare attacchi contro le forze navali e le navi commerciali. La situazione non e certo molto tranquilla. La difesa del traffico commerciale nel canale di Suez e di assoluta priorità per l’Italia che ha una economia di trasformazione ed ha bisogno di un flusso di materie prime costante, oltre alla necessità di non aumentare i costi della produzione a causa dell’allungamento degli itinerari logistici“.

Ma con il riconoscimento dello Stato palestinese, avrà fine il conflitto?

Occorrerebbe, a mio avviso, coinvolgere l’Arabia Saudita per il sostegno del governo centrale yemenita anche se l’esperienza recente non lascia molte speranze di successo. La guerra in atto tra Israele ed i palestinesi, non si risolverà con la creazione ed il riconoscimento dei due Stati. Troppo l’odio coltivato in oltre 70 anni contro Israele. È l’avanzata dello stato islamico verso la conquista dell’Europa che va fermata. Questo potrà avvenire con una nuova rivoluzione iraniana capace di destituire gli ayatollah e ridare la democrazia laica al paese che sta destabilizzando tutto il medio oriente. Ritengo, tuttavia, che la repressione dura e sanguinaria dei tentativi di rivolta dei giovani iraniani non dia sostanza a questa ipotesi, almeno nel breve periodo

Generale Ridinò non pensa che ll continuo attacco israeliano alla Palestina, non provochi odi e vendette islamistiche?

Dobbiamo sperare, proprio, che la guerra che Israele sta combattendo a Gaza, con un numero, purtroppo, considerevole di civili morti, a causa delle attività di combattimento, non ottenga alla fine il risultato di compattare il mondo islamico. La secolare ostilità tra sciiti e sunniti ci fa comodo e può essere usata per contrastare eccessivi atti di ricerca del dominio da parte di una comunità sull’altra in Medio Oriente. L’asse Cino-russo-iraniano, tuttavia, sarà molto duro da scardinare e detterà le regole ancora per molto tempo“.

Signor Generale, grazie per aver effettuato una certosina analisi geopolitica e di strategie belliche, merita attenzione e mi auguro anche tanta, ma tanta riflessione da parte di Statisti del mondo occidentale.