MONDO – Un tumore delle ghiandole salivari con metastasi polmonari che regredisce a seguito della vaccinazione contro Sars-CoV-2.
È una storia con pochi precedenti, quella raccontata da un gruppo di ricercatori dell’MD Anderson Cancer Center di Houston.
Protagonista una donna di 61 anni, operata e sottoposta a radioterapia per asportare la malattia. Trattamenti che non hanno comunque impedito la formazione di metastasi polmonari. Un caso complesso, che agli occhi dei sanitari è mutato però nell’arco di un anno. A seguito della vaccinazione con il farmaco di Moderna, le dimensioni e la composizione del tessuto tumorale prelevato dai polmoni sono cambiate in maniera radicale.
La paziente è stata sottoposta a quella che rappresenta la prima linea di trattamenti. Si intende l’intervento chirurgico per l’asportazione della massa e la radioterapia. Una strategia corretta, ma insufficiente a evitare il riproporsi della malattia.
Appena quattro mesi più tardi, infatti, i radiologi e gli oncologi hanno riscontrato la presenza di metastasi a entrambi i polmoni. Un’evoluzione priva di ulteriori opzioni terapeutiche. Da qui la decisione di osservare in maniera stretta – con gli stessi esami ripetuti a cadenza trimestrale – il decorso della malattia. Negativo, come dimostrato dal raddoppio delle dimensioni di un nodulo polmonare in sei mesi: da 1,4 a 3 centimetri. Le TAC effettuate in seguito, dopo 1, 3, 6 e 9 mesi, hanno evidenziato una progressiva riduzione delle lesioni. Ma non solo. A essere cambiata nel tempo è stata anche la composizione del tessuto tumorale, arricchitosi al suo interno di cellule del sistema immunitario: linfociti B, linfociti T, cellule dendritiche e natural killer.
Pur trattandosi dell’analisi di un singolo caso clinico, gli autori ipotizzano che “l’intensa risposta infiammatoria stimolata dal vaccino potrebbe aver promosso una risposta antitumorale“.
Azione documentata anche dalla “notevole riduzione del numero assoluto di cellule tumorali e della frazione di esse che proliferavano in maniera attiva“, è quanto messo nero su bianco dai ricercatori: sotto l’egida di Renata Ferrarotto, direttore del dipartimento di oncologia dei tumori della testa e del collo dell’MD Anderson Cancer Center.
Osservati speciali i linfociti T, un sottotipo di globuli bianchi coinvolti tanto nella difesa dalla sindrome respiratoria grave provocata dal coronavirus quanto alla base dei meccanismi di funzionamento dell’immunoterapia contro i tumori. La loro crescita, a seguito della vaccinazione e precedente alla riduzione delle dimensioni del tumore, vale come un elemento di ulteriore conferma del possibile ruolo giocato dalla profilassi nei confronti della malattia.
Quali caratteristiche della paziente o della sua malattia abbiano determinato questa evoluzione non è ancora chiaro. Ma, come riassunto dagli autori, “il confronto dei prelievi istologici effettuati nelle varie fasi e il decorso clinico della malattia supportano l’ipotesi che la stimolazione del sistema immunitario abbia determinato una risposta anche contro il tumore“. È questo il principio alla base dell’immunoterapia, l’ultima frontiera della lotta a diverse forme di cancro.
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